Piazza Garibaldi si riempie, una volta all’anno, per la preghiera di fine Ramadan. Sembra di stare dall’altra parte del mondo e invece ci troviamo semplicemente a Napoli, che di mondi ne racchiude infiniti.

Ed è un mondo, quello che c’è dietro la moschea di piazza Mercato che, fondata nel 1997 da un gruppo di musulmani italiani e nordafricani, da più di vent’anni ormai a Napoli raccoglie musulmani per la preghiera ed è impegnata in numerose attività, come i corsi di lingua araba, ma soprattutto attività di assistenza agli immigrati e di accoglienza alle persone bisognose.

Un mondo raccontato da Stefano Allievi in Islam italiano, da Ermanno Rea nel suo romanzo Napoli Ferrovia e da Ernesto Pagano con il documentario Napolislam, che racconta le storie di dieci napoletani convertiti all’Islam. Ci avviciniamo a questo mondo attraverso una chiacchierata con Massimo Abdallah Cozzolino. Formatosi nel Partito Comunista, laureato in Scienze Politiche, é stato ricercatore in Inghilterra e ha trascorso un anno di noviziato francescano prima di avvicinarsi all’Islam e diventare poi segretario della moschea di Napoli e segretario generale della Confederazione Islamica Italiana.

 Lei è Italiano, con una formazione comunista alle spalle, come si è avvicinato all’ Islam?

«Il percorso è stato un percorso di ricerca, un percorso intellettuale. Allievi classifica diversi tipi di approccio all’Islam, uno di questi è proprio dettato da un percorso di ricerca, ermeneutico. Ho intrapreso un percorso di tipo francescano e poi mi sono avvicinato all’Islam.»

In molti hanno fatto la sua stessa scelta. Si stima che a Napoli la comunità islamica conti migliaia e migliaia di membri. Secondo lei quali sono le ragioni che spingono ad avvicinarsi all’Islam? Ci sono anche delle ragioni di carattere economico, storico e sociale?

«Queste ragioni sicuramente contribuiscono a determinare una situazione di esasperazione. C’è la mancanza dei valori, la mancanza di luoghi aggregativi, la mancanza anche di quegli spazi valoriali che possono dare delle proiezioni per il futuro, per i giovani. Per cui molti tendono a venire all’interno della nostra comunità, ma dappertutto, non solo a Napoli. Non è un fenomeno che riguarda solo Napoli, riguarda l’Italia, l’Europa. Si sta verificando sempre più un avvicinamento alla religione e in questo caso all’Islam.»

A Napoli c’è una reale integrazione della comunità islamica o si sono verificati episodi di intolleranza?

«A Napoli c’è una buona, direi quasi un’ottima capacità di integrazione con la comunità. Questo accade anche perché a Napoli c’è questa eccezionalità che è il fatto che siano degli Italiani a guidare la comunità e quindi si ha la trasversalità, la possibilità e capacità di comunicazione, ma soprattutto c’è la gestione dei luoghi di culto come spazi di incontro e non come spazi di chiusura. Spesso accade che ci sia una forma di etnicizzazione in alcune realtà, una forma di segregazione, di ghettizzazione. A Napoli, invece, essendo degli spazi di condivisione, pubblici, sono parte della città. In Campania c’è una struttura di tipo federale per cui il nostro luogo di culto e tutti i luoghi di culto legati a noi, le moschee che si richiamano a noi, portano avanti la ricerca di un dialogo, la ricerca di punti di condivisione, ricerca di quei principi di cittadinanza che sono fondamentali per i migranti e per gli Italiani.»

A Padova, qualche giorno fa, hanno incendiato la porta della moschea e i risultati elettorali hanno decretato il successo di Salvini, che spesso ha parlato dell’Islam come di un rischio. La spaventano questi segnali?

«Senz’altro il fenomeno dell’islamofobia è un fenomeno preoccupante, che sta allarmando anche le istituzioni nazionali. Questi discorsi e questi crimini d’odio portano inevitabilmente a segregazioni, separazioni e non alla condivisione di uno spazio sociale. L’esigenza invece è proprio quella di condividere, partendo da un principio di cittadinanza, le difficoltà da superare per poter andare avanti nel miglioramento del nostro Paese. C’è bisogno di prospettive di apertura e non di chiusura, al di là di quelli che sono i problemi che toccano l’Italia e l’Europa.»

Oggi è l’otto marzo, quindi domanda necessaria è quella sulla considerazione delle donne nell’Islam. “Noi vogliamo imam donne” è uno degli slogan portati avanti oggi da alcuni gruppi femministi islamici. Lei cosa ne pensa?

«Non ho le competenze per dirimere questa questione, che è una questione complessa, che richiede interventi di sommi teologi. Quello che posso dire è che senz’altro le donne qui in Europa, in Italia, debbono ricoprire un ruolo fondamentale all’interno delle nostre comunità, così come le donne hanno ricoperto un ruolo fondamentale ai tempi del profeta Mohammed. Le prime donne che hanno accompagnato e supportato il profeta Mohammed sono state Kadija, l’ultima sua moglie Aicha e, guarda caso, le trasmettitici della Sunna sono prevalentemente donne. Il ruolo della donna è prioritario nella visione coranica, nella visione islamica. Purtroppo forme di sottosviluppo culturale, l’associazione tra la realtà teologica e la realtà concreta, portano a dei cortocircuiti che inevitabilmente conducono a forme di subordinazione. Noi siamo assolutamente a favore di una importante partecipazione delle donne per il miglioramento della comunità e per il miglioramento del Paese. Occorre che le donne siano libere di manifestare la propria identità, con il velo o senza velo. L’importante è avere un principio di libertà profondo, che viene rispettato e garantito anche dal punto di vista islamico. Nel Corano si dice che non c’è costrizione nella fede. All’interno di questo quadro, bisogna essere partecipi dei movimenti di progresso che sono in corso in questi anni. Il ruolo delle donne, la libertà delle donne, islamiche e non, è per noi fondamentale.»

Giulia Tesauro

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