Siamo solo al secondo appuntamento della stagione e già ci pare di averne viste tante, anche troppe sotto alcuni punti di vista. Sebastian Vettel vince a Sakhir il Gran Premio del Bahrain, infilando la seconda vittoria consecutiva in due gare davanti alle due Mercedes di Bottas ed Hamilton. Zero punti in cascina per l’altro ferrarista, Kimi Raikkonen, ritirato per un clamoroso incidente in pit lane conclusosi con l’infortunio di un meccanico del Cavallino.

Un primo posto importante e per giunta ottenuto nel più rocambolesco dei modi, al termine di un finale di gara teso almeno quanto l’inizio (con i ritiri delle due Red Bull). Inseguimento al cardiopalma,  disparità di pneumatici e le Soft del tedesco che avevano dato i primi segni del calo di prestazione a più di dieci giri dalla fine. Dietro, invece, Valtteri Bottas su gomma Medium, che pur consapevole del vantaggio di mescola ha dovuto accodarsi al perfetto stile di guida del ferrarista dopo averlo tallonato per tutto il finale di gara.

Ancora una vittoria, dunque, che anche questa volta viene figlia di un insieme di situazioni che il team ha dovuto gestire in primis nella fretta di un ritiro e di un incidente, e infine nel rischio di provare soluzioni di necessità. Un dovere, appunto. Che per definizione non include alternative alle soluzioni prese, e che quindi al momento maschera ciò che la gara a Sakhir sarebbe potuta essere per la Ferrari.

Al giorno d’oggi che ve lo dica Vanzini non serve, perché in Formula Uno (al pari anche di altre competizioni sportive a trazione tecnico-ingegneristica) di magie non se ne vedono mica. Anche a fondo delle decisioni azzardate, infatti, esiste un motivo o una previsione, per cui ad esempio tenere Sebastian Vettel fuori su un treno di pneumatici sulla carta ormai inefficiente si sarebbe rivelata comunque un’opzione migliore che non farlo. Tra l’altro un’opzione piuttosto ragionata (o almeno più di quanto si creda) soprattutto pensando che il nemico da battere Ferrari lo ha individuato in Lewis Hamilton ancor più che in Bottas o nella stessa Mercedes. Insomma, posticipare la sosta oltre la dead line che ci si era già imposti prima del ritiro di Raikkonen, non ricevendo riscontri sulle prestazioni della gomma dal finnico, sarebbe stato forse addirittura più rischioso perché si potesse finir la gara davanti ad Hamilton.

Oggi, tuttavia, bisognerebbe riflettere un attimo di più provando a distinguere da un lato la vittoria di un pilota e dall’altro il mezzo successo di un team. A conti fatti, in Ferrari pare che le avversità abbiano sollecitato gli animi e che da due gran premi a questa parte gli abbiano in qualche modo sorriso, per la gioia di un pilota che (non lo neghiamo) di suo ce ne ha messo.

Chi lavora o chi è addentro ai meccanismi che ruotano intorno a una scuderia automobilistica (per giunta di F1) sarà però comunque consapevole che la soddisfazione per un successo finisce là dove inizia la realizzazione delle dinamiche che lo hanno causato. Ad intuito con a disposizione almeno una dozzina di giri le probabilità di marciare addirittura verso una doppietta della rossa sarebbero state tante quante le possibilità per Vettel di star davanti a Bottas (come poi è successo).

Chiaro, con la premessa che un team che torna a casa con un meccanico in stampelle ha innanzitutto collezionato un insuccesso dal punto di vista aziendale: negli ultimi tempi squadra e pilota vengono spesso confusi come la stessa cosa. E passa in secondo piano che mentre un team come Mercedes abbia sacrificato la strategia (ed Hamilton) in favore del compagno di squadra (non che poi prossimamente Hamilton non torni una specie di dittatore), dalle parti della Ferrari dopo solo due gare Kimi Raikkonen venga relegato a fare lo scudiero, a giocare per arginare il campione del mondo in carica senza che gli si provi nemmeno a differenziare la strategia. E sono già due, due gare che Kimi dalla sua ha la colpa di essere un pizzico meno bravo (e meno coadiuvato) a costruirsi determinate situazioni vincenti. Che poi magari non riuscirebbe a concretizzare o a trarne il massimo, probabile. Intanto almeno i primi due gran premi della stagione avrebbero avuto sorti un po’ diverse. Questa volta s’è messa la sfortuna, perché quel che è successo al box Ferrari ha soprattutto dell’incredibile, ma al tempo stesso denuncia qualche problema.

La gomma non era montata perché non era stata smontata quella precedente, per un problema con la pistola. Il computer che segna l’accensione del verde sul semaforo ha dato comunque il verde perché il sensore rileva il contemporaneo avvitamento delle 4 ruote, anteriori e posteriori. Non avendo neanche smontato la posteriore sx (ed essendo state montate le altre 3) il computer ha dato “ok”, perché ha letto 4 gomme regolarmente avvitate. Al giorno d’oggi, con tutta la sincerità nel denunciare la completa ignoranza sull’argomento da parte di chi scrive, suona strano che nella patria della sicurezza nel motorsport il sistema oltre a leggere quando una gomma viene montata non legga anche quando – di contro – una gomma venga invece smontata.

A naso diciamo che la gamba di Francesco sarà valsa qualche discussione ai piani alti.

PS: Non ci dimentichiamo mica del quarto posto di Pierre Gasly, che porta una sobria Toro Rosso a un passo dal podio, o dell’Alfa Romeo-Sauber a punti. Pezzi di Italia.

Precedentemente: “Il pillolone di Melbourne 2018”

Nicola Puca

Fonte immagine in evidenza: automoto

 

Quotidiano indipendente online di ispirazione ambientalista, femminista, non-violenta, antirazzista e antifascista.

LASCIA UN COMMENTO

Per favore inserisci il tuo commento!
Per favore inserisci il tuo nome qui