Iniziare dalla fine, in alcuni casi, può essere d’aiuto. Dalla fine di un libro, come le parole che concludono “La nostra casa è in fiamme”: parole sferzanti, cariche di una furia emotiva che è un urlo di disperazione e liberazione allo stesso tempo. Oppure dalla fine del pianeta, quella che si avvicina rocambolescamente per via della crisi climatica e che dà impulso alle grandi lotte ambientali dei nostri tempi. Attraverso il racconto di un quotidiano fatto di dettagli, inezie e minuzie, Malena Ernman, al secolo madre di Greta Thunberg, svela una fragilità che ha già assunto i contorni dell’epopea e si abbraccia con drammatico trasporto al nostro buonsenso.
“Adesso sta a noi.
Siamo noi contro l’oscurità.
Di bocca in bocca, di città in città, di paese in paese.
Organizzatevi.
Agite.
Prendete l’iniziativa.
È ora di andare in scena.”
La lettura del libro è un’immersione – in tutti i sensi – che lascia a tratti in apnea. Non chiede di essere il solito eclatante allarmismo che profetizza apocalissi dietro l’angolo, eppure riesce perfettamente a farne cogliere l’urgenza. La nostra casa è in fiamme, pronuncia a grandi lettere bianche il titolo in copertina. Lo stesso ripete da tempo la comunità scientifica, trovando l’ostracismo della classe politica.
Che fare allora, se chi ha il potere di decidere sceglie di ignorare il problema? Che fare, se tv e giornali sembrano più interessati a lustrini e reality show che alla più grave crisi che l’umanità abbia mai affrontato?
Si inizia uno sciopero scolastico.
No, non è esattamente la risposta più plausibile a un quesito del genere. Ma la situazione in cui ci troviamo richiede soluzioni inedite. Di pensare fuori dagli schemi. Ed è quello che deve aver pensato Greta, quando ha deciso di iniziare il suo skolstrejk för klimatet, fra lo scetticismo dei suoi genitori. Provate a immaginarla, una ragazzina di neppure sedici anni che si prende la briga di saltare la scuola per sedere di fronte al Parlamento svedese. La classica monella viziata che non sa neppure di cosa sta ciarlando, la figlioccia dell’alta borghesia in cerca di svago per compiacere la mami e il papi affamati di notorietà.
Se è questa l’opinione che vi siete fatti al riguardo, fareste meglio a leggere il libro. E poi, magari, a chiedere scusa a voi stessi per esser stati capaci di tanta superficialità.
La nostra casa è in fiamme si apre con brani tratti dai discorsi di Greta, che mostrano anzitutto una profonda conoscenza e una solida preparazione sul tema ambientale e sulla crisi climatica in atto. Per quanto possa comprendere che gettare discredito su una giovane donna sia una saporita tentazione per il tuttologo medio che infesta strade e social network, pare sia proprio così: anche le donne possono essere esperte di qualcosa, perfino a 16 anni, addirittura senza basare tutta la propria competenza sulle nozioni apprese da Facebook.
(Fonte: Göteborgs-Posten)
Ma a sconvolgere e squassare per davvero è il corpo del libro, quello in cui trova spazio la narrazione di Malena e della vita in casa Thunberg. La nostra casa è in fiamme si compone di una routine talmente delicata da spezzarsi di continuo e infrangersi in crisi isteriche, singhiozzi, attacchi di panico e pianti ininterrotti. L’autrice, nonostante ciò, non cede alla tentazione ipocrita di fare della sua vita privilegiata (lei cantante lirica di successo, lui autore e produttore, entrambi di buona famiglia) un vanto, a riprova degli stucchevoli stereotipi secondo cui se vuoi davvero qualcosa nella vita ci riesci e il successo è sempre lì alla portata di chi ci crede veramente.
Anzi, quasi con malcelata vergogna, con delicato imbarazzo fa del suo privilegio un dono (vivaddio!) senza il quale, probabilmente, non ce l’avrebbe fatta.
Ma anche la precondizione essenziale della sua visione progressista:
“Quando per te è normale essere un privilegiato, la parità ti sembra un’oppressione.”
Tanta onestà potrebbe sembrare persino sospetta, non fosse per il contesto da cui proviene. Una normalità composta da visite mediche e annotazioni sul tempo impiegato per i pasti. 5 gnocchi: 2 ore e 10 minuti, è uno dei pranzi di Greta, afflitta da un malessere che nessun dottore è in grado di spiegare. E ci si immagina allora davanti a quella bambina di poco più di dieci anni, inconsolabile nelle sue lacrime, che domanda a voce alta se riuscirà mai a guarire; se non stia per morire. E il pensiero trafigge il lato più umano – per chi ne possiede uno – in modi che non sono esprimibili con volgari parole. Ci si immagina il dramma di un genitore che vede sua figlia dimagrire dieci chili in due mesi ed è costretto a rispondere come ci si aspetta che faccia: “Certo che guarirai, tesoro”. E qualcosa, dentro, si spezza.
Le esperienze di Greta con la sindrome di Asperger e il mutismo selettivo, e della sorella Beata con l’ADHD e la misofonia, diventano il dettaglio che prorompe e ingombra tutta la scena. Resta più in disparte la figura di papà Svante, quasi una comparsa che non manca tuttavia di distinguersi per amorevolezza e abnegazione. La battaglia contro il cambiamento climatico fa da sottotitolo a La nostra casa è in fiamme, e in effetti ne risulta quasi una bizzarra conseguenza. Eppure ha mobilitato da allora milioni di persone, e continua a influenzare i nostri dibattiti pubblici, le nostre scelte quotidiane, gli orientamenti di voto.
Manca un ultimo passaggio, il più importante: quello in cui in tutto il mondo vengono messe in atto vere politiche di contrasto alla crisi climatica prima che sia troppo tardi. Ma se non ci arriveremo non sarà certo colpa di Greta.
Una nota a parte meritano le interpretazioni che Malena Ernman offre del contesto socio-economico odierno, in cui la crisi climatica è esplosa e degenerata. Seppure sparsi in maniera confusionaria fra un capitolo e l’altro, abbondano i riferimenti espliciti al femminismo, all’equità sociale e intergenerazionale, all’antirazzismo come strumenti di lotta:
“La battaglia per l’ambiente è il movimento femminista più grande al mondo. Non perché in qualche modo escluda gli uomini, ma perché sfida quelle strutture e quei valori che hanno creato la crisi in cui ci troviamo”.
Nonostante il capitalismo non venga mai citato, è semplice desumerne le conclusioni. L’attuale sistema non funziona, quindi bisogna cambiare sistema. Un sillogismo tanto evidente quanto impossibile da accettare per coloro che ne traggono beneficio e succhiano linfa vitale dalle viscere del pianeta per mantenere intatto il loro tenore di vita attraverso lo sfruttamento delle risorse naturali e degli altri esseri umani, a proprio esclusivo vantaggio. In questo senso, La nostra casa è in fiamme assume per certi versi l’impronta del manifesto politico: e fa bene, perché è dalla politica che devono giungere le risposte, le soluzioni alla crisi climatica.
Non occorre diventare tutti vegani, smettere di volare, cucire da sé i propri vestiti o tornare a vivere nelle caverne come nel paleolitico, come qualcuno finge di credere per giustificare la propria pigrizia.
Certo aiuterebbe, ma non è quello il punto.
E basterebbe conoscere la storia di Greta per rendersi conto che a volte sì, il fine giustifica i mezzi; soprattutto se il fine è evitare la fine. E forse non sarà questo libro a cambiare il mondo, ma un risultato, per quanto mi riguarda, l’ha già ottenuto: cambiare me stesso.
Vi sembra poco?
Emanuele Tanzilli