In principio erano i commentatori dell’Economist e Renzi si poteva permettere di accettarne le provocazioni con goliardate varie (una su tutte il gelato offerto a Palazzo Chigi), a Settembre sono poi arrivati i dati sull’andamento dell’economia nel terzo trimestre dell’anno ai quali è seguita la volontà di realizzare una Legge di Stabilità meno restrittiva ed abbandonare temporaneamente il piano di rientro del deficit strutturale messo a punto insieme all’Ecofin, causando l’adesione al gruppo dei critici del vice-presidente della nuova Commissione europea per il lavoro, la crescita, gli investimenti e la competitività, il finlandese Jyrki Katainen, finito il tempo delle goliardate Renzi e Padoan avevano rivendicato la genuinità della propria manovra economica e, forti del risultato elettorale del 25 Maggio, erano riusciti a mantenere il timone della nave garantendone la rotta per i successivi sei mesi, posticipando il giudizio tecnico sulla manovra al Marzo 2015. In questa cornice, tutt’altro che rosea, si inseriscono i risultati deludenti delle elezioni regionali in Emilia Romagna e Calabria, che privano il Governo e Matteo Renzi di potere contrattuale alla base delle riforme.
Così nasce il coro di critiche che si alza dal presbiterio dell’Unione europea, orchestrato dal Cancelliere tedesco e dagli altri rappresentanti delle politiche restrittive ed austere imposte all’interno dell’Unione nell’ultimo ventennio, trova il suo cavallo da battaglia nella debolezza politica dell’avversario e nella sua conseguente incapacità di mettere in atto le giuste contromisure qualora sia necessario. E l’avversario di questo clero officiante è perfettamente rappresentato da quelle aree politiche, in Europa minoritarie, che vogliono terminare l’attuale corso economico europeo ed iniziarne uno nuovo basato sulla flessibilità e su politiche monetarie più espansive di quelle attuali.
Alla luce di quanto detto non deve stupire che le discussioni odierne al consiglio dei Ministri dell’economia e delle finanze europei riguardino i due paesi che hanno richiesto con maggior tenacia una maggiore flessibilità nelle loro scelte di bilancio, cioè Francia e Italia. Queste vengono coinvolte in misura differente e per ragioni differenti, se per la Francia è infatti assodato l’inasprimento delle sanzioni pecuniarie dovute al mancato rispetto dei parametri stabiliti e quindi si tratta solo di aspettare il procedere degli eventi prima di giungere alle estreme conseguenze di tale condotta, nel caso dell’Italia non sembra così semplice l’attribuzione dei torti e delle ragioni, a causa del tipo di infrazione commessa e della sua quantificazione. Innanzitutto, come è stato già detto, la Legge di Stabilità 2014 non rappresenta un passo indietro sul sentiero del consolidamento fiscale, in quanto non è previsto un aumento del deficit oltre il 3% pattuito bensì un ritardo di un anno o due nel processo che porta alla sua progressiva riduzione. E proprio il quid di questo rallentamento è la base delle divergenze tra Roma e Bruxelles, dato che i tecnici italiani misurano uno sfasamento di 0,2% (più o meno pari a 3 miliardi di euro) rispetto all’obbiettivo posto per quest’anno e stanno preparando misure correttive in questo senso, al contrario i tecnici della Commissione misurano uno sfasamento pari allo 0,4% e pretendono da parte italiana maggiori sforzi in questa direzione.
Proprio su questa differenza si inasprisce il conflitto, infatti il logoramento subito dal Governo Renzi nell’ultimo anno e le conseguenze di ciò sul suo operato, insieme al numero di scadenze che si accavalleranno nel primo trimestre del 2015, con la grande incognita rappresentata dalle elezioni del Presidente della Repubblica, potrebbero presentare all’Eurogruppo di Marzo 2015 un esecutivo incapace di reperire tempestivamente queste risorse, mettendo la Commissione nella scomoda posizione di dover accettare l’atteggiamento italiano e la sua concezione di flessibilità, oppure procedere anche nei confronti dell’Italia, andando a rafforzare il fronte dei paesi richiedenti manovre economiche più espansive facendoli compattare attorno a Mario Draghi, a capo dell’unica istituzione europea attualmente favorevole a politiche espansive.
Marco Scaglione