“Siamo solo all’inizio“, una frase che, pronunciata mille e più volte per bocca dei pubblici ministeri in ogni processo di una certa taratura, dimostra di aver perso un certo smalto, ma qui, a Mafia Capitale dopo le ultime rivelazioni, ci sembra davvero di aver oltrepassato oramai la scorza e di essere giunti alla polpa.
Gli intrecci stanno venendo a galla, le relazioni sono divenute di dominio pubblico e tutto ciò grazie all’elemento debole dell’intera sofisticata e complessa macchina criminale, la fiducia; difatti oggi il cuore delle indagini è tutto nel libro nero trovato a casa della segretaria di Salvatore Buzzi, Nadia Cerrito. In tale libro mastro venivano annotate tutte le voci di spesa in nero, ovvero mazzette da dare a politici e imprenditori ed anche se la Cerrito, insieme al manager Panzironi, sia l’unica a rispondere alle domande degli inquirenti ad oggi afferma di non sapere a chi andassero tali mazzette e che quindi il suo ruolo all’interno dell’opera fosse solo quella di comparsa, o per meglio dire di portaborse.
Dalle intercettazioni ambientali invece ci sembra doveroso dover ritagliare per la cassiera, a causa poi di sue dirette affermazioni, un ruolo di maggior peso ed è per questo che i magistrati le hanno dato un ultimatum vero e proprio per ricostruire l’ordine delle operazioni e l’organizzazione di Mafia Capitale. Se ci fosse una apertura favorevole in questo senso dalla indagata, le indagini potrebbero prendere una piega ancora più favorevole andando a togliere dell’impasse dell’interpretazione dei dati gli uffici pubblici interessati e così velocizzare di rimando tutto il corso delle operazioni.
Il punto in cui si è arrivati oggi comunque rimane importantissimo, in quanto si è ormai riusciti a ricostruire l’intera cupola delle operazioni e il suo modus operandi. Al centro della stessa ritroviamo Buzzi e Carminati, al di sotto Nadia Cerrito, la liquidità necessaria a finanziare le azioni criminale proveniva invece da imprenditori affiliati, attraverso l’emissione di fatture per operazioni inesistenti in favore della società di Buzzi, la Enriches; questi soldi venivano poi direttamente reinvestiti attraverso le mazzette fisse e quelle una tantum, come quella in favore di Panzironi, ex ad dell’Ama, 15 mila euro al mese e 120 mila di straordinario, il resto veniva portato in conti all’esterno, grazie al lavoro di speciali trasportatori, i quali ottenevano a fine lavoro una percentuale del 4-5% della somma trasbordata.
Dario Salvatore