I caccia israeliani hanno bombardato due postazioni militari in Siria, una delle quali vicina all’Aereoporto Internazionale. L’obiettivo, raggiunto, era quello di distruggere missili e armi destinati ad Hezbollah, il partito libanese che nacque nel 1982 come milizia in risposta all’invasione israeliana del Libano. Sembra che nel raid aereo il partito libanese abbia subito l’uccisione di due suoi membri.

Il tutto è successo domenica, e il governo siriano si è espresso a riguardo con una dichiarazione scioccante, denunciando “un’aggressione che dimostra il coinvolgimento diretto di Israele nel sostenere, insieme ad altri Paesi occidentali e ad altri Paesi della regione, il terrorismo in Siria”. Dichiarazione scioccante perchè fondata, insomma non sulle solite supposizioni. Proprio nella giornata di domenica infatti le Nazioni Unite avevano precedentemente reso noto un dettagliato rapporto che certifica come Israele intrattenga “da mesi costanti e regolari contatti con gruppi militanti di ribelli siriani che combattono contro il regime del presidente Bashar al-Assad”. Ma d’altronde anche il ministro dell’Intelligence israeliana Yuval Steinitz non ha smentito l’attacco, dichiarando che Israele sostiene “una ferma politica volta a prevenire possibili trasferimenti di armi sofisticate a organizzazioni terroristiche”.

L’organizzazione terroristica citata sarebbe quindi Hezbollah, ma ciò stride con il supporto ai ribelli siriani, loro non considerati terroristi, nonostante non siano poi in fondo così moderati. Pur facendo parte dell’Esl – Esercito Siriano Libero – sono infatti molto vicini all’islamismo radicale di Al Nusra (che ha fra i principali alleati Al Qaeda), del Fronte Islamico e dell’IS.

Ehud Yaari, analista israeliano, già nell’ottobre scorso faceva notare quanto fosse “significativo che in tanti anni i jihadisti non abbiano mai attaccato l’esercito israeliano o i suoi interessi” poichè “i quadri di Al Nusra preferiscono mantenere una collaborazione libera dettata dal momento con altre fazioni ribelli. Così fa anche con Israele”.

Le forze militari dell’Onu della missione Undof – spesso attaccati dai jihadisti del Fronte Al Nusra – avevano già in passato parlato della pratica ormai usuale che vede i militari israeliani e gli integralisti islamici “collaborare direttamente” da 18 mesi, con feriti curati in Israele e “casse consegnate a combattenti” in territorio siriano. Quindi Israele combatte al fianco dei ribelli contro il nemico di sempre Hezbollah, ma non solo. È nota la disponibilità di importanti esponenti dei ribelli siriani, come Kamal al-Labwani, a cedere l’intera regione del Golan a Israele (che lo occupò nel 1967) in cambio appunto di sostegno militare contro il governo di Damasco.

Un’alleanza quanto mai ambigua e per alcuni tratti apertamente contraddittoria. I siriani considerano da sempre Israele come il nemico sionista da distruggere, e i giovani ribelli ora aiutati dalle forze di Tel Aviv sono cresciuti pensando questo. Maurizio Molinari nel suo reportage per La Stampa al Ziv Medical Center di Zefat, in Israele, riporta a tal proposito un aneddoto che va girando per l’ ospedale che da mesi accoglie i feriti delle milizie opposte al regime di Assad, e che qui genera ilarità: “A un ferito chiesero: cosa farai ora che torni in Siria? Lui rispose: combatterò Assad. E poi quando la guerra sarà finita? Combatterò Israele!”.

Valerio Santori

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