Il mondo stava per cambiare ma nessuno se ne era ancora accorto. L’onda dirompente del ’68 era ancora di là da venire, Aldo Moro si preparava a dare alla luce un Centro Sinistra che forse non sarebbe nato mai e la Sinistra rivoluzionaria era ancora meno che un’idea. Era l’Italia della DC, dei governi immobili, delle rigide convenzioni sociali e del benessere economico. Il mondo però stava per cambiare ma nessuno se ne era ancora accorto.

Nessuno tranne un ragazzino di Como a cui piaceva da matti quella musica strana suonata da certi scarafaggi oltremanica, aveva il mito dei capelli lunghi e la passione per la pittura. Il suo nome? Gigi Meroni. Gigi era capace di dipingere tanto col pennello sulla tela quanto col pallone su un campo di calcio: viveva di dribbling armoniosi come arabeschi e traiettorie impossibili che disegnava sul campo polveroso dell’oratorio di San Bartolomeo dove giocava con la Libertas. Era imprendibile, il migliore, il più amato.

Dalla Libertas all’esordio in serie B con il Como la strada è tracciata, e da lì il volo verso i vicoli di una Genova segnata dalle note dei suoi cantautori, per l’esordio in Serie A con la maglia della squadra più antica d’Italia. Due anni all’ombra della Lanterna, con gli avversari costretti di continuo ad inseguire i suoi capelli lunghi nel tentativo, vano, di portargli via il pallone.

Nel ’64, a 21 anni, Nereo Rocco lo vuole con se a Torino e per averlo fa sborsare alla società l’astronomica cifra di 300 milioni di lire. La Torino granata è però una città ferita nell’anima: sono passati solo 15 anni da quando l’aereo della squadra più forte di tutti i tempi aveva visitato troppo da vicino la basilica di Superga. Un tempo troppo breve per cancellare dai cuori dei torinesi qualcosa per la quale non basterebbe un secolo: il nome del Grande Torino ed i volti di capitan Valentino e dei suoi ragazzi. Ma la Torino granata è anche ribollente di passione e di ardore verso i suoi colori e l’arrivo del funambolico ragazzino probabilmente non guarirà la ferita ma, forse, potrà almeno lenirla.

E infatti Torino si innamora, si innamora di un ragazzo fuori da ogni schema, di un esteta del calcio che vive per il gusto del bello, che ha voglia di far gol solo se al pubblico, oltre ad esultare, verranno fuori gli occhi per la meraviglia. Come quel giorno a San Siro contro l’Inter, quando entra in area portandosi dietro Giacinto Facchetti e proprio quando l’uomo simbolo dei nerazzurri pensa di averlo fermato, dal pennello nascosto nel piede destro di Gigi parte un dipinto che si spegne dolcemente alle spalle dell’incredulo Giuliano Sarti. Finirà 2-1 per il Torino.

Non conosce mezze misure Gigi, nemmeno davanti all’azzurro della Nazionale quando Edmondo Fabbri gli chiede per indossarlo di rinunciare ai suoi lunghi capelli. Gigi rifiuta e viene escluso. Vestirà comunque in seguito l’azzurro e farà parte della spedizione fallimentare dei mondiali del 1966. Quando il presunto dentista Paak-do-ik condanna la Nazionale alla peggiore figura della sua storia però, Gigi non è nemmeno in panchina. Del resto è l’Italia benpensante e conservatrice degli anni ’60, che non ha ancora la legge sul divorzio e che considera reato l’adulterio. Ma il mondo sta per cambiare anche se ancora nessuno se ne è accorto. Gigi però, lo sa. Si innamora di Cristiana, la bella tra le belle del Luna Park delle Varesine, la ragazza del tiro a segno che gli ruba il cuore sul lungo mare di Genova. Se ne innamora al punto da presentarsi al matrimonio di lei impostole dai genitori, nella speranza che vedendolo sul portone della chiesa lei rinunci e scelga lui. Non accade.Sceglierà lui però dopo pochi mesi, quando fuggirà da quel matrimonio artificioso e non voluto per correre tra le braccia del calciatore artista. Ma il mondo non è ancora cambiato, e anche se Gigi già sa che cambierà, la sua convivenza con Cristiana nella mansarda di Piazza Vittorio farà scandalo e scalpore nell’Italia di quei giorni.

Il mondo stava per cambiare e Gigi già lo sapeva, ma non farà in tempo a vederlo. Il 15 ottobre del 1967 non riesce a dribblare una macchina mentre attraversa Corso Umberto a Torino per raggiungere il solito bar e telefonare a Cristiana. L’entrata è durissima, Gigi finisce a terra e non si rialzerà più. La Torino granata viene colpita al cuore nuovamente e con una durezza che non conosce pari: perde quel ragazzino dai capelli lunghi che le stava curando l’anima.

Ma ci sono miti che nemmeno il destino può fermare e Gigi Meroni era uno di questi, la settimana dopo la sua prematura uscita di scena si gioca il Derby della Mole. Torino-Juventus non è mai stata una partita come le altre ed in questo momento lo è ancora meno del solito. Nestor Combin ha la febbre quasi a 40, ma dopo quanto è successo al suo fraterno amico e compagno d’attacco quella partita non la salterebbe per nessun motivo al mondo. Infatti gioca, e ne mette dentro tre. Il quarto gol forse lo segna proprio Gigi, nelle sembianze del giovane Alberto Carelli che quel giorno indossa la maglia numero sette per la prima volta orfana del suo legittimo proprietario.

Finisce 4-0 per il Toro e il mondo negli anni successivi cambierà davvero. Gigi era l’unico che già lo sapeva…

Flavio Giordano

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