Inghilterra, agosto 1991. L’allora pilota belga Bertrand Gachot viene arrestato e processato quasi nove mesi dopo una lite accorsa in un incidente stradale, reo di essersi difeso spruzzando un gas orticante sulla faccia di un tassista. Sotto contratto con la Jordan, in Formula Uno, nonché compagno di squadra di Andrea De Cesaris, Gachot non brillava certo di un talento cristallino, eppure sono bastati un piccolo spray (illegale in terra inglese) e la rispettata antipatia di un giudice a renderlo artefice dell’inizio di una delle pagine più rosee della Formula Uno degli ultimi trent’anni: la scoperta di Michael Schumacher.
Ad agosto solitamente la F1 fa tappa proprio in Belgio, tra le Ardenne, e fu proprio nel weekend di Spa che questa vicenda diede spazio al debutto del Tedesco, che di lì allo scoccare del nuovo millennio avrebbe riportato un titolo iridato in Ferrari dopo quasi vent’anni. Sempre in Belgio, e sempre a Spa, risale anche il primo successo in assoluto del Kaiser, che arrivò nemmeno un anno dopo il debutto a bordo di una sorprendente Benetton (a cui regalerà i due titoli del ’94 e ’95).
Sono passati molti anni da allora. Campioni del mondo sono andati e venuti, sugli schermi delle televisioni italiane si sono consumate rivalità, vissuti e veri e propri momenti di gloria, e intanto la Formula Uno ha radicalmente mutato se stessa, passando da interesse di nicchia ad attrazione delle masse. A renderlo possibile saranno state anche nuove regole, o addirittura nuove gestioni (si veda il recente passaggio di consegne a Liberty Media), o nuovi obiettivi, eppure sono ancora i piloti che avvicinano il grande pubblico al mondo delle corse. Lo fanno divertendo e soprattutto vincendo, senza negarsi anche un buon profilo mediatico, che al giorno d’oggi fa la differenza, e che non vuol dire necessariamente diventare un influencer. Insomma, da un lato un Kimi Raikkonen, prototipo finnico di dedizione e passione per il racing, e dall’altro Lewis Hamilton, che oltre al pilota (il migliore) di professione fa anche l’instagrammer.
Lo chiamavano il predestinato, Charles Leclerc
Recentemente, invece, un grande entusiasmo ruota intorno al pilota della Ferrari Charles Leclerc e al destino che, a brevi tratti alla volta, gli si apre davanti. Sono due le vittorie, una dopo l’altra e in rapida successione, la seconda delle quali a Monza, ben nove anni dopo l’ultima volta con Fernando Alonso. In Belgio, invece, la prima della stagione e della carriera nella massima serie, proprio come il Kaiser.
Difficile che un déjàvu possa riportare il mal tolto al popolo ferrarista, che anzi arranca alla disperata ricerca di una storia nuova, di un volto nuovo e amico dietro il quale aggrappare i propri desideri di rivalsa. Va detto che, comunque, per le simili caratteristiche, i due tracciati lampeggiavano da mesi nelle agende ferrariste, e la prestazione che la vettura ha offerto sull’asciutto in entrambe le occasioni (specialmente in qualifica) non ha disatteso le più o meno alte aspettative. Eppure sembra equivoco che i festeggiamenti siano partiti proprio dal Belgio.
Sono state due settimane che definire piene nella prospettiva di Charles Leclerc sarebbe a dir poco il migliore degli eufemismi (a partire dalla morte dell’amico Anthoine Hubert). Si salva così da parte degli schiaffoni Mattia Binotto, e una Ferrari che in più occasioni ha dovuto arrancare in questo mondiale, dimostrandosi poco reattiva nella gestione gara e degli stessi piloti.
Alcuni mesi fa in Bahrain, infatti, Charles Leclerc sfiorava il primo meritato successo (mancato poi solo per problemi tecnici), e indirettamente denunciava un box per lo più impreparato sulla questione ordini di scuderia, quando al “resta due giri dietro Seb” il monegasco rispondeva sorpassando il suo compagno di scuderia in pista. Diverse settimane dopo, invece, in Belgio, lo stesso Sebastian Vettel (spento e psicologicamente out da almeno un anno) ha regalato secondi preziosi al compagno di squadra nella lotta contro Lewis Hamilton, tenendo dietro il pilota inglese (seppur in evidente difficoltà nella gestione delle gomme) e passando in secondo piano al quarto posto.
Non basterà però un solo episodio fortunato perché si neghi il talento e lo spirito di abnegazione di Charles Leclerc, che, dal canto suo, a Monza ha tirato giù la visiera e spinto (a volte anche no, come nell’ultima sessione di qualifiche) pensando solo al primo posto. A questo punto dovremmo quindi descrivere piccoli accenni di personalismo, o un desiderio di vittoria così forte da mascherare un sopito egoismo e trasformarlo, invece, nell’agonismo di un campione da poco fuoriuscito dal bozzolo. A Monza, un’unica sbavatura di una gara perfetta probabilmente sarà forse stata dettata dalla bandiera bianca e nera che la direzione di gara gli ha mostrato in occasione del corpo a corpo con Hamilton all’Ascari, che la Mercedes ha in seguito denunciato in pompa magna.
Nonostante la giovane età, in questo senso, Charles Leclerc pare disporre della forza e dell’equilibrio mentale di un veterano, vale a dire di qualità molto più utili che non alla causa di una carriera in Formula Uno, dove episodi e duelli al limite lo renderanno di certo protagonista ogni domenica.
Rabbia e lutti hanno forgiato un pilota maturo prima del tempo
Tante le difficoltà superate nel corso degli anni, sacrifici difficili da fare che lo hanno portato ad essere ciò che è oggi: un campione in erba. Statuarie sono le parole di Massimo Rivola, che ha avuto modo di sceglierlo e lavorare con lui in Ferrari Driver Academy, e che, raccontandolo, non si accorge di star delineando la personalità di un futuro campione del mondo:
“Il suo amico Jules Bianchi mi parlò per primo di Leclerc, e quando era nell’Academy non smetteva di dirmi quanto fosse forte questo bambino, per il quale nei weekend liberi andava a fare da coach e da meccanico sulle piste di kart. In alcune situazioni mi ha sorpreso, nel 2017 per esempio stava già dominando il campionato di F2, quando in Belgio fu squalificato dopo la vittoria in gara-1 e costretto a partire ultimo il giorno dopo. Provai a tirarlo su, ma lui mi rispose: ‘Max sono contento, così potrò finalmente sorpassare un po’ di piloti‘. Poi, alla vigilia di Baku, vide morire suo padre Hervé ma prese il primo aereo e arrivò in pista, vincendo la gara. Molti al suo posto sarebbero crollati“.
“Leclerc è molto determinato e corre solo per vincere, istinto comune a tutti i grandi campioni. Nel suo caso, credo che il carattere si sia rafforzato con le tragedie che ha dovuto superare, nella fattispecie la morte di Jules e del padre. Ho lavorato con Vettel al debutto in Toro Rosso nel 2007 e con Alonso quando esordì alla Minardi nel 2001, ma solo in Fernando ho visto la stessa rabbia agonistica che ha Charles“.
Rabbia, la linfa in pista di Charles Leclerc, che probabilmente lo ha spinto anche in Belgio, vista la morte precoce dell’amico Hubert. Alla Ferrari, dunque, il compito difficile di prendere per mano il futuro di Charles Leclerc, che è vincente di suo, e gettarlo nella mischia della Formula Uno futura (che di enfant prodige ne ha già uno e si chiama Max Verstappen). Sarà una sfida, tuttavia, fare in modo che questo si compia in nome dei colori del Cavallino. Comunque, l’impressione è che lui saprebbe fare benissimo da solo.
Nicola Puca