Il primo uomo che, avendo recinto un terreno, ebbe l’idea di proclamare: «Questo è mio», e trovò altri così ingenui da credergli, costui è stato il vero fondatore della società civile. Quanti delitti, quante guerre, quanti assassinii, quante miserie, quanti orrori avrebbe risparmiato al genere umano colui che, strappando i pali o colmando il fosso, avesse gridato ai suoi simili: «Guardatevi dall’ascoltare questo impostore; se dimenticherete che i frutti sono di tutti e che la terra non è di nessuno, sarete perduti!».
(Jean-Jacques Rousseau)
Cari lettori, fin dagli albori dell’evoluzione l’uomo ha colmato la sua paura del diverso e il suo bisogno di sicurezza creando barriere, segregandosi in base all’etnia, al colore della pelle, alla religione, all’orientamento politico.
Così, i muri che in natura separano una regione dall’altra, nella “società civile” sono serviti invece a separare una ragione dall’altra. Siano essi di mattoni, cemento o filo spinato, l’elemento architettonico ha ceduto il passo a quello concettuale, creando fratture più o meno visibili e profonde tra differenti modi di interpretare il mondo.
La storia è ricca di muri che hanno segnato epoche diverse, anche lontane nel tempo, che sono sorti per le esigenze di cui dicevamo prima. A cosa state pensando? Tiro a indovinare: probabilmente alla Grande Muraglia Cinese, una sterminata costruzione di oltre 8.800 km nata per difendere i confini dalle incursioni straniere. Magari al Muro di Berlino, che fino al 1989 ha diviso la capitale tedesca e l’intero assetto geopolitico mondiale in due fazioni contrapposte. Oppure al Muro del Pianto, il luogo sacro dell’ebraismo presso cui i fedeli cercano di avvicinarsi al loro dio.
Che si tratti di tribù nemiche, avversari politici, divinità o altro, dietro ogni muro c’è un senso di separazione astratto ed artificioso, un’imposizione mentale che limita e preclude e, il più delle volte, scava solchi irreversibili di astio e diffidenza reciproca.
Non è un caso che l’immaginario collettivo idealizzi l’abbattimento dei muri come un atto di liberazione, un esercizio di ribellione contro il potere precostituito: al punto da diventare ispirazione per pagine web che nella lotta alle discriminazioni traggono la loro raison d’être. Perché non esiste barriera dove vige la libertà, e gli orizzonti sono piane brade in cui spaziare l’anima e il pensiero oltre i confini, oltre le righe nere disegnate sulle mappe, oltre l’idea di inquadrare ogni cosa in uno schema e renderla controllabile, gestibile, manovrabile.
I muri odierni sorgono come risposta istintiva ed infantile a quello che Erri De Luca definisce “rimescolamento demografico” tra un Sud del mondo povero e stremato e un Nord spaurito dalle nefandezze della crisi.
Dalle steppe balcaniche allo stretto di Calais, l’Europa è una cicatrice di filo spinato col ghigno aperto in due dagli opposti orrori del terrorismo e dell’imperialismo; ma l’arrivo di Trump oltreoceano non ha arginato la deriva, tutt’altro. Il muro ormai celebre che sorge al confine col Messico è già l’emblema di una generazione politica reazionaria e miope, che vede nell’isolazionismo e nel ritorno al nazionalismo la soluzione alle crisi economiche e d’identità causate dall’ultracapitalismo.
Ma un mondo che rifiuta le proprie responsabilità e pavidamente si nasconde è un mondo destinato a sparire, dapprima agli occhi degli altri e poi a se stesso, alimentando altro odio. Oggi sono i video di due donne rinchiuse e filmate all’esterno di un supermercato, domani saranno le stanze delle case in cui rifugeremo le nostre insanabili solitudini.
È per questo che occorre battersi, non contro i muri in sé, ma contro l’idea che rappresentano: senza integrazione e multiculturalismo, senza ascolto e confronto la nostra società cosiddetta civile è destinata per sempre ai virtuosismi intellettuali di Trump, Salvini, Le Pen e altri carnevalari del razzismo e della xenofobia come loro.
È una lotta che va combattuta praticando tolleranza e libertà di pensiero, insegnando la diversità come ricchezza e, soprattutto, esponendosi. Un po’ come ha deciso di fare Roger Waters, per due decenni bassista, cantante ed autore dei Pink Floyd, che ha annunciato di voler portare una tappa del suo tour nordamericano e lo storico album “The Wall” proprio ai piedi del muro voluto da Trump, per dimostrare che l’ideologia unica dell’ignoranza non avrà vita facile, fin quando ci sarà qualcuno pronto ad opporvisi.
‘Cause we don’t need no thought control.
Emanuele Tanzilli
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