“All’improvviso sobbalzò, rientrò dentro il tempio e salì le scale che portavano alla balconata. Lì, in uno spazio vuoto, pendeva la corda campanaria. Hetty la afferrò. Mai prima d’ora era risuonata nel villaggio una campana di Natale; probabilmente Hetty non aveva mai sentito parlare delle campane di Natale. Era spronata da puro e semplice entusiasmo e da una felicità piena di gratitudine. Le vecchie braccia tirarono la fune di buona lena, la campana suonò, scampanio dopo scampanio. Giù nel villaggio le tendine vennero sollevate, lasciando entrare la luce del mattino, e visi felici guardarono fuori dalle finestre. Hetty aveva risvegliato al Natale l’intero villaggio.”
(«Un topo di sacrestia»)
Il mattino che sorge glorioso nell’allegria invernale, l’incanto della brina argentea sospesa sulle case come una benedizione, richiamata da un semplice gesto di gioia, esemplificano il duplice valore dell’interiorità impregnata dalla saggezza del quotidiano, che costituisce il nucleo portante delle opere di Mary Wilkins Freeman (Randolph, 1852 – Metuchen, 1930), in cui i più alti valori risultano scomposti negli elementi di più basso profilo; l’affetto, la benevolenza, l’allegria, il sacrificio, la lealtà sono quasi nascosti, attutiti dalla modestia ed assumono la trasparenza del vento che accarezza le sere della campagna americana, accompagnandole nel crepuscolo.
Originaria del Massachusetts, Mary Wilkins si trasferisce ancora giovane nel Vermont e nel 1902, cinquantenne, sposa Charles Freeman, seguendo il marito nel New Jersey, ove rimarrà per il resto della sua vita. Inizia a scrivere giovanissima: poesie e, soprattutto, racconti, che incontrano presto il favore di pubblico e critica.
L’ambientazione è invariabilmente quella dell’America tra la fine del XIX e l’inizio del XX secolo, con i suoi villaggi di poche anime, le sue campagne coltivate, le asprezze dell’esistenza e l’applicazione, spesso ipocrita, dei principi puritani. Così come i protagonisti sono pressoché sempre donne di mezza età o anziane, spesso sole e, talvolta, emarginate. Nella precisione del contesto, la Freeman preferisce lavorare al di sotto della trama, nell’animo, nei piccoli gesti, nella vita d’ogni giorno; le vicende sono semplici: storie di povertà, di tenacia, di dissidi familiari; al contempo, la forza , la generosità, la tenacia, mai esibite, come un’acqua profonda che lavori una roccia sino ad averne ragione, riscattano l’esistenza e portano al trionfo, al sapore del calore e dell’affetto.
“‘A volte mi sembrava di morire all’idea di non poterle togliere di dosso quell’orribile camicia da notte, di non poterla rivestire, nutrire e farla smettere di cercare sua madre’, la udii dire una volta, e faceva sul serio.”
(«Il fantasma perduto»)
Identica preoccupazione ed impronta si ritrovano nell’altro ramo della sua produzione, quello della narrativa soprannaturale. L’elemento sopranormale s’inserisce nella vita quotidiana come una rivelazione che ha i tratti del dialogo tra anime e che raramente incute un timore che non sia superato dalla comprensione e dalla pietà. Così, ne «Il fantasma perduto», del 1903, l’apparizione di una bambina disperata per l’assenza della madre, dopo un fremito di terrore, muove a compassione le protagoniste, sino a che una non ritrova nella morte la bambina, potendole finalmente offrire il calore e la salvezza anelate.
Parallelamente, in «Un fantasma gentile», del 1897, la scoperta dell’origine prettamente umana del pianto che turba le sere di una famiglia non distrugge la speranza di poter rivedere la figlia (e sorella) morta bambina. Anzi, scioglie i dubbi in un calore amico e la piccola Nancy Wren, orfana, che ogni sera si dispera per il calare del buio, è accolta in famiglia e su di lei si riversano l’affetto e la gioia di un focolare domestico ritrovato.
Tra i suoi racconti più incisivi è «Louisa», del 1890 [1], ritratto di una giovane indipendente e sognatrice, che con semplicità e tenacia riesce ad obbligare un parente ricco a venire in soccorso della propria famiglia, rifiutando al contempo un matrimonio di convenienza combinato per risollevarne le misere sorti. Louisa risolve la faccenda a modo suo, come sempre. E, come sempre, rimane a contemplare le stelle e ad ascoltare risa di bambini, tra i suoi “dolci e misteriosi sogni di fanciulla.”
Lo stile leggero, lieve, preciso della Wilkins Freeman ricama con facilità i più lievi stati d’animo, i cambiamenti che sovvengono poco per volta, le repentine prese di coscienza. Misurato, colorito, gentile come una pioggia di primavera eppure saldo come il carattere forte dei suoi personaggi più riusciti, scivola con eleganza sulla realtà del proprio tempo, analizzandola, descrivendola, e, talvolta, glorificandola per il dono della compassione che non fa sfoggio di sé – ma cammina nell’ombra di una giornata afosa del New England.
Insignita della Howells Medal nel 1925, Mary Wilkins Freeman è considerata una delle maggiori autrici del ventesimo secolo.
______________________________
1) Note: Per un elenco completo dei lavori di Mary Wilkins Freeman, vedi il sito Works of Mary E. Wilkins Freeman.
Davide Gorga