“Era una notte meravigliosa, una notte come forse ce ne possono essere soltanto quando siamo giovani, amabile lettore. Il cielo era così pieno di stelle, così luminoso che, gettandovi uno sguardo, senza volerlo si era costretti a domandare a se stessi: è mai possibile che sotto un cielo simile possa vivere ogni sorta di gente collerica e capricciosa?”
Così comincia il romanzo breve di Dostoevskij, Le notti bianche, una delle opere più amate dello scrittore russo e sicuramente tra più rilette. Il fascino di questo libro sta nell’incontro sorprendente tra il mondo astratto – vissuto completamente nei sogni – e la realtà. Il nostro Sognatore, protagonista del libro, vive la sua vita tra passeggiate e letture, conosce a memoria i palazzi di Pietroburgo e i suoi abitanti pur non avendo nessun amico. Egli è, dunque, completamente solo.
Un giorno, però, vede una donna che piange vicino al fiume e le si avvicina, inconsapevole che la sua vita di qui in poi sarebbe cambiata per sempre…
Nasten’ka offre al nostro protagonista spiragli di vita vera, di vita vissuta, illuminando la sua grigia esistenza e riempendola di sensazioni tangibili e concrete.
“Io non posso non venire qui domani. Sono un sognatore; ho una vita reale talmente limitata che mi capitano momenti come questo, come adesso, tanto di rado che non posso non ripercorrere questi momenti nei miei sogni. Sognerò di voi l’intera notte, l’intera settimana, tutto l’anno. Verrò immancabilmente qui domani, proprio qui, in questo stesso punto, proprio a quest’ora, e sarò felice ricordando il giorno passato. Questo posto mi è già caro.”
Come di consueto, il sognatore si innamora immancabilmente al primo sguardo della ragazza e trascorrerà quattro notti in sua compagnia, nelle quali i due si racconteranno reciprocamente le loro vite.
Ma questa felicità non è destinata a durare molto, purtroppo, poichè la giovane confessa di attendere il ritorno del suo amato, partito un anno prima in cerca di fortuna e che non aveva ancora fatto ritorno. Questo non fa che accrescere le speranze del sognatore e infervorarne l’animo.
“Ieri era il nostro terzo incontro, la nostra terza notte bianca… Quanto rendono meravigliosa una persona la gioia e la felicità! Come ferve un cuore innamorato! Sembra che tu voglia riversare tutto il tuo cuore in un altro cuore, vuoi che tutto sia allegro, che tutto rida. E quanto è contagiosa questa gioia!”
Il giorno dopo succede l’imprevedibile per il nostro protagonista: arriva all’incontro con la donna che appare raggiante. La ragione della sua gioia è che l’amato aveva finalmente fatto ritorno, ed ecco che l’idillio amoroso dell’uomo s’infrange per sempre.
“Dio mio, come ho potuto pensarlo? Come ho potuto essere così cieco, quando tutto era stato già preso da un altro, tutto non era mio; quando, in definitiva, anche quella sua tenerezza, la sua sollecitudine, il suo amore… sì, amore per me, – non era altro se non la gioia dell’imminente incontro con un altro, il desiderio di infondere anche in me la sua felicità? La mia Nasten’ka si fece tanto timida, si spaventò tanto che sembrò finalmente capire che l’amavo, e rammaricarsi del mio povero amore. Così, quando siamo infelici, sentiamo più fortemente l’infelicità altrui; il sentimento non si frantuma ma si concentra…”
L’ultimo capitolo s’intitola “Il Mattino”. La luce risveglia dai sogni il protagonista mostrandogli la dura realtà. Tuttavia, egli afferma di non portare rancore alla donna perchè, grazie a lei, la sua vita cupa si era, seppur per un attimo infinitamente breve, illuminata d’amore.
“Ma non pensare che ricordi la mia offesa, Nasten’ka! Che spinga una nuvola scura sulla tua chiara e tranquilla felicità, che, rimproverandoti aspramente, spinga l’angoscia sul tuo cuore, lo offenda con un segreto rimorso e lo faccia battere angosciosamente nel momento della beatitudine, che sciupi anche uno solo di quei teneri fiori che hai intrecciato nei tuoi riccioli neri, quando sei andata insieme a lui all’altare… Oh, mai, mai! Che sia chiaro il tuo cielo, che sia luminoso e sereno il tuo caro sorriso, che tu sia benedetta per l’attimo di beatitudine e di felicità che hai dato ad un altrui cuore solo, riconoscente!
Dio mio! Un intero attimo di beatitudine! Ed è forse poco seppure nell’intera vita di un uomo?…”
Maria Pisani