E se vi dicessi, molto forzatamente, che la VAR ha un antenato? Piuttosto sarebbe giusto dire che tutto questo clamore che vediamo in giro un tempo riguardava campi ben diversi. Ma un momento.
Mercoledì Italia contro Serbia, una di quelle sfide che negli sport di squadra negli ultimi decenni ha sempre valso il prezzo del biglietto. Questa volta ce la giochiamo con la palla a spicchi, all’EuroBasket, al Sinan Erdem Spor Salonu di Istanbul. Scontro ad eliminazione diretta e valevole per l’accesso alle semifinali, scontro cestisticamente parlando un’ovvietà che nel tabellone di un europeo prima o poi ti ritrovi a dover guardare.
Sulla carta due paesi che nell’indole si assomigliano, entrambi pervasi da un eclettismo non c’è male, anche se la testa sul collo e i piedi per terra vengono prima di tutto.
A dirla alla Flavio Tranquillo, i fili che legano il serbo all’italiano della pallacanestro non diciamo che siano tanti. Quantomeno il contrario di pochi.
Veniamo al dunque. Ogni domenica, e chissà per quante domeniche, sentiremo parlare di VAR nei suoi due sessi. Ormai ha anche una pagina Wikipedia, e fin dall’inizio del campionato dobbiamo averlo imparato necessariamente tutti quanti.
Insomma, VAR è l’acronimo per Video Assistant Referee e nient’altro è che uno di quei due signori che durante una partita di calcio collaborano con l’arbitro esaminando situazioni di gioco dubbie con l’ausilio di filmati. Certo, sono arbitri anche loro e in Italia hanno ben pensato che potessero sostituire i due assistenti di porta che, da quando sono stati introdotti nel nostro campionato, sembra abbiano solo intralciato le linee di fondo campo.
Che c’entra il calcio vi starete chiedendo. E in effetti, per quanto ci siano al centro dell’attenzione due palloni con l’obiettivo di metterli in fondo a una rete, la filosofia cestistica diverge non poco da quella calcistica. Questione di tempi, scadenze, cronometri che vanno al rovescio, clutch shot e un’importante ruolo attribuito ai falli di reazione, ai possessi che regalano un punto decisivo.
Eppure, uno spunto di riflessione lo spendiamo ben volentieri. Correva l’anno two thousand o’ five – il 2005 de noi artri, che l’inglese fa sempre più figo- quando gara 4 delle finali scudetto tra AJ Milano e Climamio Bologna (chiamatela anche Fortitudo) imperversava sugli schermi degli appassionati. Bologna vince e porta la serie sul 3-1, laureandosi campione d’Italia. Vince grazie all’IR, che nel linguaggio della tecnologia anglosassone voleva dire Instant Replay.
Una tecnologia che la Lega adottò lo stesso anno e che, contro i pareri degli arbitri, convalidò la tripla allo scadere (ormai rimasta storica) di Ruben Douglas. In casacca AJ quella era anche una delle ultime partite importanti di Aleksandar Dordevic, iugoslavo di nascita e poi serbo in maturità. A fianco di quest’uomo, che oggi allena la Nazionale serba e che mercoledì proverà a batterci, giravano personaggi che tanto ignoti non sono, a partire da un certo Gianluca Basile.
Ebbene, nella pallacanestro italiana fu notizia. Niente di polemico, niente di epocale, semplicemente un canestro valido che occhio e lucidità umana non sarebbero riusciti a captare. Mani in alto e vittoria che meritatamente andava a Bologna, e l’IR che diventava una costante della pallacanestro. Parliamo di uno sport che gioca sulle frazioni di secondo, fiscale e ben equilibrato, e molto poco influenzato dalle fasi di gioco, buonsenso e/o dal metro di giudizio degli arbitri che di partita in partita potrebbe cambiare.
Oggi, quand’è che si può usare l’IR lo si può leggere vi chiederete. Si tratta di casistiche chiare e molto simili alle cosiddette game changing situations (situazioni che cambiano una partita) e che sono contemplate nell’utilizzo della VAR.
Insomma, mercoledì dopo la partita una chiacchiera con Dordevic non sarebbe male. Sarebbe importante riflettere su quanta fatica si stia sprecando per cercare di uniformare uno sport quale il calcio a un modus operandi che di natura non gli appartiene, soprattutto per chi lo segue e ci sembra uno di quelli nostalgici che lo smartphone prima lo maledicono e poi vogliono che gli faccia un massaggio ai piedi.
In soldoni, la VAR dovrebbe essere utilizzata con raziocinio, evitando che possa diventare una sorta di mezzo a cui voler ricorrere per ogni cosa. Un goal potrà pesare più di un canestro direste, sono due cose diverse.
Questo è discutibile, chissà che ne penserebbe Dordevic, che quel 16 giugno 2005 un po’ male ci sarà rimasto. Fa parte del gioco, per ogni errore marcato dalla tecnologia ne spunterà fuori un altro su cui l’occhio digitale non aveva giurisdizione. Accettare, accettare che il calcio è scientemente strutturato secondo un regolamento, che in 50000 allo stadio non possono dover influenzare. Non più.
Nicola Puca
Fonte immagine in evidenza: basketcity