Dati ministeriali del MIBACT alla mano, quella che si chiude è stata un’estate più che positiva per il turismo a Napoli e in Campania, con le cifre che parlano di livelli di prenotazioni intorno all’80% della capacità alberghiera ed una prospettiva per l’autunno già incoraggiante. Si impone così l’analisi dell’impatto dei flussi turistici sull’economia, specialmente napoletana, per capire se è davvero tutto oro quello che luccica.
«Anno buono per voi, questo, eh?», chiede una signora con valigia in attesa davanti all’aeroporto internazionale di Capodichino ad un tassista che aspetta a sua volta il proprio turno per caricare passeggeri, in una ressa che aumenta di minuto in minuto, man mano che i voli atterrano; «signò, amma ringrazià l’Isìs», risponde il tassista, riassumendo in due parole il primo dei concetti chiave da affrontare in questa analisi. Il boom del turismo, a Napoli, è fenomeno (se non recente, quantomeno) giovane. Ormai oggettivamente lontani nel tempo i brutti ricordi delle crisi dei rifiuti e delle tristi, pesanti caricature della stampa straniera su una città in preda alla “munnezza” e ai pericoli del crimine (per quanto questi ultimi non siano certo spariti, ma siano diventati in qualche modo meno “rumorosi”), Napoli si è scoperta meta ambita e di punta dell’offerta turistica italiana. Il miglioramento dell’immagine generale ha contribuito, certo, ma un altro fattore ha concorso in maniera decisiva, diventando un tragico, ma potente alleato della rinascita: il terrorismo internazionale.
Sarebbe ipocrita negarlo: a parità di bellezza del luogo da visitare, il turista preferisce, in linea di principio, una città con qualche carta per terra ed un astratto, solo potenziale pericolo criminale, piuttosto che la “certezza”, continuamente rimbalzata dai media del mondo occidentale, di essere coinvolti in sparatorie, esplosioni e terrore pur di farsi un bagno nelle splendide acque del Mar Rosso o del Mediterraneo tunisino o israeliano, o, persino per visitare la Francia scossa dagli episodi degli ultimi mesi. Il pericolo jihadista (lo dice Ettore Cucari, presidente FIAVET Campania intervistato da Repubblica) ha rafforzato la posizione del turismo internazionale a Napoli e in generale in Campania, che del resto è meta di eccellenza per tanti tipi di target: dal turismo balneare, a quello culturale, a quello di lusso (con Capri e la Costiera).
Ecco dunque spiegata la prima concausa del fenomeno del turismo in crescita, sagacemente riassunto anche dal tassista di base a Capodichino. Proprio lo scalo napoletano, del resto, registra numeri in costante aumento, anche del 30% su base annua, segnalandosi come uno degli aeroporti più virtuosi (recentemente vincendo anche un premio internazionale) tra quelli di fascia media per traffico di passeggeri (tra i 5 e i 10 milioni annui).
Ad ulteriore testimonianza che il recente boom, in qualche modo, era inatteso, se non imprevisto, viene indicato (per bocca sempre di Cucari) il costante sottonumero dei posti letto disponibili, che andrebbe ampliato per consolidare le potenzialità dell’offerta. Dodicimila posti a Napoli non bastano: il dato che ne individua 17mila a Ischia è abbastanza eloquente. Napoli, pur essendo una metropoli, ha numeri davvero insufficienti in proporzione all’accoglienza che dovrebbe e potrebbe offrire. In realtà, va considerato un altro dato, complementare a quello appena dichiarato: a Napoli si permane mediamente poco (circa due giorni), perciò il turnover delle camere è frequente.
La città ancora non si libera del proprio, consolidato ruolo di “testa di ponte” verso isole, Costiere e scavi archeologici, non riuscendo a fidelizzare il proprio pubblico. È significativo, del resto, che la Regione, come segnala lo stesso Cucari, abbia piazzato uno dei pochi ufficetti “pro loco” al molo Beverello: è il luogo, quello delle partenze degli aliscafi verso Ischia, Procida e Capri, che concentra e smista il maggior volume turistico insieme a Capodichino, ma questo non vuol dire che le istituzioni facciano già quanto sufficiente e non dovrebbero invece impegnarsi di più per far conoscere la realtà napoletana. Che bisogna incrementare i servizi per il turismo, è opinione condivisa dagli organismi del commercio e degli albergatori campani in genere e napoletani in specie. Tuttavia, specialmente in alcuni settori determinati, si deve fare i conti con il volto amaro e ancora impresentabile di Napoli e Campania.
«Abbiamo avuto un’estate eccellente, un ferragosto mai visto con quasi tutte le strutture alberghiere completamente piene, con tantissime iniziative culturali e tantissimi turisti»: a metà agosto, un soddisfatto sindaco di Napoli De Magistris commentava così il successo del turismo a Napoli. I fatti gli hanno dato ragione, ma l’opinione condivisa è che questo risultato la città l’abbia strappato da sola, con i denti, ricavandosi il proprio spazio nella già accennata congiuntura internazionale favorevole. Aiutano questa ricostruzione alcune semplici osservazioni.
Al di là dei consueti discorsi sul decoro urbano (sempre a Repubblica Giancarlo Carriero, presidente della sezione Turismo dell’Unione degli Industriali di Napoli, parla di «strade e marciapiedi sporchi facciate di palazzi signorili imbrattate»), i cui limiti è facile constatare da parte di chi vive la città, è sui trasporti che suonano le più dolenti note. Le corse di autobus, metropolitana e funicolari non bastano per i cittadini, figurarsi per i turisti. La crisi dell’ANM e il fallimento, per ora, del rilancio della Circumvesuviana danno conto di queste criticità. Se l’Italia è tra gli ultimi Paesi d’Europa per qualità dei mezzi pubblici di trasporto, è persino superfluo ribadire che Napoli, terza città d’Italia, non faccia certo eccezione, ma si segnali, nell’ultimo periodo, per un buio ancor più pesto. L’insufficienza dei collegamenti aumenta la percezione di un’offerta turistica improvvisata, che si inserisce, se non si appoggia aggravandole, sulle difficoltà di una città già in ginocchio.
Del resto, se a inizio luglio l’ANM (guidata dal fedelissimo del sindaco, Ciro Maglione) dichiarava, con i tempi di attesa della metropolitana Linea 1 che aumentavano per l’entrata in vigore dell’orario estivo, i tagli alle linee degli autobus e la Funicolare Centrale appena riaperta (ma a singhiozzo e con continui disagi che continuano ancora oggi), che il livello di servizio potevano tranquillamente diminuire perché tanto in estate si verifica «la graduale riduzione del carico passeggeri», qualcosa non torna: la contraddizione con la città piena di turisti e un numero di cittadini che sono rimasti a casa («perché Napoli non è una città ricca», come sa e afferma lo stesso De Magistris) è palese. La verità è che, almeno sul fronte del TPL, soluzioni a breve termine non ce ne sono. Sarà difficile sfuggire, per un bel po’ ancora, alle recensioni negative sui mezzi pubblici napoletani riportate dai siti turistici e dagli stessi albergatori (come avverte anche Antonio Izzo, presidente Federalberghi Napoli).
Al di là dei proclami sul turismo in massa a Napoli, comunque, l’obiettivo è convincere non solo il nuovo visitatore a venire per la prima volta, ma soprattutto creare uno zoccolo duro di abitueé, convinti a tornare dalla qualità ricettiva. Questo specialmente allo scopo di rendere l’occupazione nel settore turistico e nell’indotto stabile e consolidata, non certo simile ad un lavoro stagionale a termine e precario. Il proposito vale ancora di più in una città giovane con alti livelli di disoccupazione under 30 ed una notevole sproporzione tra diplomati, laureati e occupati.
A parte la cronica piaga del lavoro nero, specialmente in settori come la ristorazione (che pure è un punto di forza, insieme a tutto il comparto dell’enogastronomico), ma anche ormai del trasporto abusivo (con improvvisati tassisti a caccia di clienti nella Stazione centrale e al centro storico), le carenze si avvertono anche e soprattutto nell’organizzazione dei servizi di accompagnamento del turista nella sua esperienza di arricchimento culturale in città. Mancano, come si evince dalla polemica scoppiata qualche settimana fa, in particolare le guide turistiche. Ridotto e contrastato il fenomeno dell’abusivismo, è soprattutto la Regione che viene indicata come necessario soggetto investitore in questo specifico settore occupazionale. La burocrazia è tanta, i posti sono pochi. Coi nuovi volumi del turismo napoletano e campano, se ben radicati, però, potrebbe esserci posto per tanti in quello che si avvia, dati alla mano, a diventare il primo comparto produttivo della Regione.
Ludovico Maremonti