(Parte 1)

Il tema dell’adozione è un tema profondo e variegato perché copre aspetti di ogni ordine e grado.
Anzitutto è un fenomeno di carattere sociale, variabile molto spesso sottovalutata, che risente della cultura dei diversi secoli.
L’adozione infatti non ha avuto sempre gli stessi fini né le stesse regolamentazioni.
Nel periodo napoleonico il tipo di adozione presente era quella tra adulti: l’adottante aveva più di cinquant’anni e scarse speranze di aver figli mentre l’adottato aveva più di diciott’anni.
Chiaramente l’adozione non si basava su un patto affettivo, ma economico: in questo modo il casato non veniva fatto estinguere e l’adottato acquistava una condizione economica più agiata.
Nel corso del tempo ci sono state varie ridefinizioni della pratica adottiva.
Gli anni sessanta sono stati decisivi perché hanno portato una maggiore sensibilità nei confronti dei bambini: si è percepita una sempre più forte necessità di un nuovo tipo di adozione, con lo scopo primario di dare una famiglia al bambino e, in secondo ordine, dare un figlio ad una coppia di genitori.
Da questo momento in poi gli adottanti diventano una giovane coppia scelta dal giudice e l’adottato diviene figlio legittimo della coppia, interrompendo ogni legame con la famiglia d’origine.
Se sul piano legale e burocratico l’adozione è piena di numerosi cavilli, non meno complessa è la creazione vera e propria di una famiglia adottiva.
Costituire una famiglia, è una questione piuttosto complessa per tutte le coppie che aspettano un figlio. Le coppie devono creare uno spazio mentale per accogliere il bambino, creando un luogo d’amore accogliente per il nascituro.
Nel caso dell’adozione, oltre il passaggio da diade a triade, si aggiungono elementi psicologici che rendono più complessa la formazione della famiglia.
L’adozione è spesso collegata alla sterilità di uno dei due partner, infecondità che porta la moglie a sentirsi meno donna perché incapace di procreare e l’uomo a sentirsi impotente sessualmente. Spesso infatti la sterilità viene percepita come un inganno del patto coniugale attivando sensi di colpa, rabbia, disistima o meccanismi protettivi.
Un’altra area che può compromettersi è quella sessuale. La coppia deve riscoprire il piacere di scambiarsi affetto pur senza l’obiettivo generativo, lì dove il corpo è vissuto con vergogna e slealtà.
C’è da porre in rilievo comunque che, la coppia che decide di adottare spesso si trova sola nella fase della scelta ed oltre a dover lavorare con il suo problema dell’infecondità, è costretta anche a dover ridefinire la propria identità.
“Se per la coppia il figlio mancato rappresentava un mezzo per soddisfare altri bisogni o risolvere problemi irrisolti, allora si può arrivare anche all’estrema decisione dello scioglimento del contratto matrimoniale” (A. D’Andrea).
Alla luce di ciò che è stato detto, Il primo passo per costruire una famiglia adottiva deve essere quella del desiderio e non del bisogno: il bambino adottato non dovrà appagare le carenze degli adulti, ma i genitori dovranno lavorare per costruire un nido d’amore.
Nella coppia che adotta si trova spesso il desiderio di avere un bambino piccolo, il più possibile senza ricordi od elementi che lo avvicinano e lo legano alla sua famiglia biologica. Questo avviene quando prevale una dinamica competitiva tra le due famiglie, quella biologica e quella adottiva.
Tanto più l’atteggiamento dei due partner sarà flessibile e resiliente rispetto alla scelta adottiva tanto più ci sarà uno libero scambio di affetto per il bambino che verrà.
La scelta adottiva si delineerà come “prendersi cura della differenza” (Bramanti, Regalia, 1985), accompagnando il bambino all’interno della sua storia e permettendogli di recuperare una parte della sua identità che DEVE essere valorizzata, senza timore che ciò possa dividere la famiglia.

A cura della Dott.ssa Gioia Giordano
http://www.psicodialogando.it/

 

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