Nella settimana in cui si parla solo del nuovo presente degli Stati Uniti, bisogna sapere che anche in un’altra nazione americana si è votato per l’elezione del nuovo capo di stato.
Quella nazione è il Nicaragua, e il nuovo (si fa per dire) presidente risponde al nome di Daniel Ortega, pressoché sconosciuto in buona parte del mondo ma molto noto in patria, anche per via del fatto che questa è la terza volta consecutiva in cui viene eletto.
Questa volta, però, non è stato un plebiscito, pur essendo stato molto alto il margine – oltre il 71 % dei voti – che ha separato lo storico leader sandinista dal secondo candidato più votato, Maximino Rodriguez, del Partito Liberale Costituzionalista. Notevole, infatti, l’astensionismo, che secondo il Consiglio Supremo Elettorale si è attestato intorno al 70% degli aventi diritto.
Proprio il fatto che Ortega sia stato un ex guerrigliero, protagonista, insieme con i suoi compagni d’armi, della Rivoluzione Sandinista, che nel 1990 decretò la fine della dittatura di Anastasio Somoza in Nicaragua, gli ha sempre garantito un forte appoggio popolare, che questa volta, tuttavia, sembra essergli mancato.
Il motivo risiede nella deriva dittatoriale che il governo di Ortega avrebbe preso da alcuni anni, almeno secondo le accuse dei suoi detrattori, che non risiedono soltanto fra gli scranni dell’opposizione, ma anche fra i suoi compagni di partito.
L’accusa è di aver manipolato le istituzioni per ottenere una vittoria che lo mantenga al potere sino al 2021, peraltro in compagnia della moglie, Rosario Murillo, assurta alla vicepresidenza.
Per ottenere tutto questo, Ortega non ha esitato a riformare la costituzione, permettendo la rielezione indefinita del presidente, né a commissariare il principale partito di opposizione, con l’ausilio della Corte Suprema, controllata, di fatto, dal regime sandinista.
E dire che la Rivoluzione Sandinista era nata con presupposti molto diversi, come ammonisce Edmundo Jarquin, ex primo ministro del governo rivoluzionario, secondo cui la forma di governo vigente in Nicaragua è ormai quella di una dittatura familiare, con la signora Ortega pronta a succedere al marito.
Carlo Rombolà