Fu crocifissa, morì e fu sepolta. Il terzo giorno è risuscitata, senza che nessuna scrittura lo prevedesse.
Lo spettacolo andato in scena in questo fine settimana a Roma potrebbe avere come titolo “La Passione di Virginia (Raggi)”: data per morta quando il PM ha chiesto, per lei, una condanna di dieci mesi per falso nell’ambito del processo nomine, è risorta alla notizia dell’assoluzione e al fallimento del Referendum ATAC, l’esito sperato dal Movimento 5 Stelle.

Il Processo Raggi

Quando negli ultimi giorni la condanna per la sindaca di Roma sembrava quasi inevitabile, a tremare non è stata solo la Raggi ma tutto il Movimento 5 Stelle. Il giorno prima della sentenza, alla richiesta del Pubblico Ministero che chiedeva dieci mesi di reclusione per l’attuale inquilina del Campidoglio, Luigi Di Maio si era affrettato a dichiarare che per la Raggi non sarebbero stati fatti sconti.

E dunque sarebbe stato applicato alla lettera il codice etico del Movimento 5 Stelle, che l’avrebbe obbligata a dimettersi dalla carica di sindaco in caso di condanna anche solo di primo grado. Sullo sfondo Matteo Salvini, che pochi giorni fa aveva invitato la Meloni a ragionare su una candidatura a sindaca in caso di elezioni anticipate.

Processo Raggi
Virginia Raggi, il giorno della sentenza che l’ha assolta

Veniva insomma messo in discussione, in questo processo, il dogma dell’onestà, da sempre emblema della “purezza” pentastellata rispetto ai vecchi e corrotti partiti. E alla fine il dogma ha tenuto: il giudice Ranazzi ha sentenziato che “il fatto c’è, ma non costituisce reato”, e ha quindi assolto dalle accuse la sindaca di Roma. Scatenando così gli esponenti del Movimento 5 Stelle che si sono affrettati a dare delle “puttane” (Di Battista) e degli infimi sciacalli (Di Maio) ai giornalisti che nei mesi scorsi si erano occupati del caso Raggi.

Dalla formula della sentenza emerge però un dato: la Raggi ha davvero commesso il fatto, ma quest’ultimo non è stato giudicato illecito. La sindaca era indagata per aver mentito durante il processo Marra, affermando di non esser stata influenzata nella nomina del fratello Renato a capo dell’ufficio Turismo ma di aver agito in piena autonomia. In attesa di capire le ragioni della sentenza, dunque, il PM Dall’Olio ha annunciato di voler capire se ci sono gli estremi per un appello, che potrebbe riaprire in futuro la vicenda.

Il Referendum ATAC

Neanche il tempo di prendere atto della vicenda, e subito Roma si è trovata davanti un altro appuntamento importante: il Referendum ATAC, promosso dai Radicali per consultare la cittadinanza su di un’ipotetica liberalizzazione del servizio di trasporto urbano.

Chi vive a Roma sa che ATAC rappresenta da sempre un simbolo dei problemi della Capitale: un’azienda che tra ritardi, corse mal attrezzate e mezzi che prendono fuoco, colleziona ogni anno milioni di euro di perdite e ha un buco di bilancio stimabile in un miliardo e 400 milioni. Con buona pace della Raggi che qualche giorno fa aveva festeggiato “il primo bilancio semestrale in attivo della storia di ATAC”, che risulta però “drogato” dal concordato preventivo approvato pochi mesi fa che ha congelato una parte dei debiti. Inoltre, rispetto al 2017 vi è stata una netta diminuzione delle corse (5 milioni di km in meno): in sostanza, l’azienda si sta riprendendo, ma il prezzo da pagare sono bus che passano sempre più raramente.

Referendum ATAC
La locandina del fallito referendum

Da questi problemi nasceva l’iniziativa del Referendum ATAC, proposto dai Radicali e appoggiato da PD e Forza Italia, che proponeva la fine del monopolio naturale di ATAC e la messa a gara del servizio. Sul fronte del No erano invece schierati, a difendere il servizio di trasporti pubblico, Fratelli d’Italia, Lega, Liberi e Uguali e soprattutto il Movimento 5 Stelle – il quale attraverso la sindaca Raggi ha introdotto, con una manovra discutibile, il quorum su un referendum consultivo, quando però il regolamento capitolino approvato prima di indire la consultazione non prevede quorum per referendum di questo tipo.

Alle urne, la bocciatura è stata netta: l’affluenza si è fermata al 16.3%, ben lontana dal 33% fissato come quorum, mentre tra i votanti il Sì ha avuto la meglio con il 70% circa dei voti. Ci sono buone probabilità però che il comitato promotore del Referendum ATAC decida di impugnare la questione della validità del quorum per vie legali, ricorrendo al TAR del Lazio. La Raggi ha invece esultato all’esito del referendum, promettendo un rilancio nell’ambito di un servizio che rimanga pubblico. E può intanto collezionare l’ennesima vittoria di una tre giorni di fuoco.

Come riparte Roma?

Virginia Raggi esce quindi dal fine settimana più importante dei suoi due anni da sindaco con una serie di successi importanti che sembrano rinforzarla. In apparenza.

Perché nonostante l’assoluzione dal processo e l’esito benevolo del referendum ATAC, la popolarità della Raggi resta bassissima, e soprattutto Roma rimane una città letteralmente al collasso. Ne è la prova l’ultima ordinanza emanata dalla sindaca con la quale, in seguito al caso della ragazza violentata e uccisa nel quartiere San Lorenzo, ha proibito il consumo di alcolici all’esterno dopo le ore 21.

San Lorenzo
Il locale abbandonato dove è stata trovata morta Desirée, a San Lorenzo

Un provvedimento che non serve a combattere lo spaccio di droga – che sta alla base della morte di Desirée e che resta un problema da risolvere in un quartiere affollato di giovani come San Lorenzo –, ma che finisce solo per penalizzare bar e commercianti in nome di un cieco quanto inutile proibizionismo. E mostra, in maniera preoccupante, come l’amministrazione non conosca per nulla le varie criticità e particolarità della città e delle singole zone.

Perché il quadro che viene fuori dalla “Passione di Virginia” è questo: una sindaca che i tribunali hanno provato essere indubbiamente onesta, ma che i romani stanno comprovando, altrettanto indubbiamente, come inadeguata.

Simone Martuscelli

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