“La volontà – frammenti di Simone Weil” in scena al teatro Nostos

Sabato 9 e domenica 10 aprile il Teatro Nostos di Aversa ha messo in scena “La volontà- frammenti di Simone Weil”, spettacolo vincitore del Bando “I teatri del Sacro”.

Sotto la direzione di Giovanni Granatina, Dimitri Tetta e Gina Oliva, l’attore e drammaturgo Cèsar Brie e l’attrice Catia Caramia, hanno catapultato gli spettatori negli anni ’30 e ’40, in piena guerra mondiale, con la scrittrice, poetessa, drammaturga, storica, contadina, filosofa, combattente, giornalista Simone Weil come unica guida. Si tratta di una personalità eclettica, una donna che non si è mai fermata di fronte a qualsivoglia difficoltà, ricca di valori e di ideali.

“La mia anima non riesce, retrocede tra peccato e polvere.”

È il peccato di esser solo un essere umano, il non riuscire a gestire i conflitti l’ha vestita di aspettative e di speranze verso un futuro che non l’ha mai appagata.

La rivoluzione è vista come una bugia, il comunismo una bella favola per mandare a letto i bambini: per cambiare il mondo servono i fatti, uniti ad una profonda denuncia sociale e alla scomparsa dell’omertà. Il mondo degenera e in Russia vige il silenzio, e importanti pensatori perdono la loro vita, torturati e fucilati brutalmente, in un’esistenza in cui professare la bellezza è fuorilegge.

“Bisogna essere coraggiosi o ci uccidono, si arriva a firmare menzogne, non esiste libertà.”

Balbetta tra una battuta e l’altra Cèsar Brie nei panni di soldati, medici, scrittori, parroci, che hanno riempito la vita di Simone lasciandosi donare un pezzettino di lei. Simone voleva occuparsi degli uomini, scriveva del loro pensiero e del loro essere, non sapeva mentire e denunciava apertamente tutto ciò che può intralciare la libera espressione. Giunse in Germania per portare il suo piano di attacco: un fronte unico contro i nazisti, “perché il comunismo chiude gli occhi e la burocrazia non ce la fa. Tutto soffoca e paralizza gli operai tedeschi.”

Per capire ciò che accade bisogna viverlo ed è così che diventò operaia, braccio di un processo meccanico e svilente, tra i figli della solitudine e dell’inesorabile scorrere di un tempo fittizio. Qui, più che sul fronte, vide per la prima volta come la società avesse abbandonato l’individuo e come i giovani, da bagliore di luce, fossero diventati specchio di quel caos che si maschera con una macchina ad ingranaggi. Gli uomini sono alla mercé del potere centrale, tutto è cieco.

L’Iliade è una Bibbia da cui trarre insegnamento. Qui si legge delle miserevoli vicende umane, della perdita dei valori, della disgrazia. Ma la moglie piange il marito, il padre il figlio, il popolo il suo eroe, in una catarsi che mostra anche ciò che c’è di bello, quel lato puro che ognuno di noi ha.

“L’uomo è uno strano essere, una cosa che ha un’anima, ma l’anima così è costretta.”

L’Iliade è un’ondata di luce cristiana, quel cristianesimo che Simone analizzava da lontano, timorosa di toccare con mano quella purezza macchiata dalla corruzione di Roma, di Israele e poi da quella del mondo intero. Intinta di quella follia Shakespeariana, che narrava la sola verità senza mai essere creduta, morì nel Regno Unito nell’ospedale di Ashford, accanto al fervente socialista Andrè, suo grande amico.

È morta di stenti, deperita per non aver voluto mangiare né bere, voleva essere come Alessandro Magno, accompagnando i suoi soldati col pensiero e condividendo la loro sofferenza e la loro fame.

“La solitudine altrui dolore ghermiva fino alla morte” sono le parole incise sulla sua lapide da un ipotetico C.M., Carlo Manfredi per la finzione scenica, un infermiere che l’ha accudita e ascoltata, su un palco pregnante del suo ricordo tanto da far imprimere agli attori, con rabbia, solchi bianchi sulle pareti che diventano a tratti simbolo di violenza, a tratti di pace.

Alessia Sicuro

 

Laureata in lettere moderne, ha in seguito ha conseguito una laurea magistrale alla facoltà di filologia moderna dell'università Federico II. Ha sempre voluto avere una visione a 360 gradi di tutte le cose: accortasi che la gente preferisce bendarsi invece di scoprire e affrontare questa società, brama ancora di tappezzare il mondo coi propri sogni nel cassetto. Vorrebbe indossare scarpe di cemento per non volar sempre con la fantasia, rintagliarsi le sue ali di carta per dimostrare, un giorno, che questa gioventù vale!

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