Un emigrato che accoglie. Potremmo sintetizzare così la storia di Enzo Faenza, ex consigliere comunale di Pertosa, di origini battipagliesi, che ha voluto raccontarsi ai taccuini di Libero Pensiero News. Dalle prime battaglie social, al centro di accoglienza nel Tanagro.

Raggiungere la Valle del Tanagro è sempre un’avventura. Paesaggi suggestivi, ricchi di storie. Stradine interminabili. Di tanto in tanto c’è qualche anziano del paese che ti saluta, pur non conoscendoti. Puoi osservare il gioco di colori che le colline producono, la purezza di una natura incontaminata. Poi capita che il navigatore ti faccia percorrere una strada chiusa per frana, e ti tocca tornare indietro. Ma la gente del posto è disponibile: ti dà informazioni, qualcuno è addirittura disposto a farti strada con la sua macchina. Se però chiedi del centro di accoglienza, la loro espressione cambia. Qui i migranti non sono ben visti da tutti. E proprio questo il punto di partenza dell’intervista a Enzo Faenza che ci spiega le difficoltà di fare accoglienza in spaccati rurali come quelli del Tanagro o del Diano.

Enzo Faenza Accoglienza Tanagro

«Io stesso sono di origine contadina, come tantissime persone. Dopo tanti anni di esperienza, come quella di Assessore alla Cultura o di consigliere comunale a Pertosa, mi sono trovato di fronte a tante situazioni ostili. Perché c’è un retaggio dove certe classi sociali sono restie ai cambiamenti. Probabilmente le aree urbane più evolute sono anche più vocate all’accoglienza e al favorire l’integrazione. È un discorso molto complesso, ma in paesini così piccoli ti assicuro che non è facile fare un discorso di accoglienza» – dice Enzo Faenza che poi prosegue citando Pasolini – «L’omosessualità non l’ho capita fin quando non ho visto il film “La mala educación” di Aldomóvar, non ho vergogna a dirlo. In quel film ho visto come l’affettività verso una persona dello stesso sesso può diventare anche amore e anche sessualità. Non lo avevo capito fino a quel momento».

Enzo, da circa un mese, accoglie 30 migranti in un centro del Tanagro. Vengono da ogni parte dell’Africa: dal Sudan, dal Marocco, dal Ghana, dalla Nigeria e dalla Costa d’Avorio. E alle spalle hanno storie drammatiche. C’è chi ha perso la moglie in un conflitto a fuoco in Libia e la cui figlia viene accudita a turno da alcune mamme presenti lì. Altri raccontano di viaggi disperati sui barconi. E poi c’è “Purity“, una bambina di appena 10 mesi che è la vera e propria mascotte del centro. Un’unica grande famiglia composta da 5 nuclei familiari diversi (13 bambini e 17 adulti). Non è possibile scattare foto, o parlare specificamente della cooperativa perché la Prefettura ha dato rigide disposizioni

«La Prefettura ha dato rigide disposizioni sin da subito. Perché è un centro di accoglienza speciale il nostro. Abbiamo rilasciato due o tre interviste nei giorni scorsi perché siamo stati costretti a difenderci da illazioni e attacchi strumentali che, fortunatamente, abbiamo dimostrato essere infondati. Non siamo autorizzati a divulgare immagini o dichiarazioni nello specifico anche perché ci sono dei minori» prosegue Faenza.

Infine, Enzo ci racconta anche come è iniziata questa esperienza e le forme di razzismo subdolo che ne sono derivate.

«C’era questa possibilità di accoglienza, un’esperienza assolutamente nuova. Sono arrivati di varie nazionalità, di varie culture. Un’esperienza bella dal punto di vista umano, nonostante all’inizio fossi perplesso. Un po’ la lingua, un po’ certi modi di essere, alla fine però ti accorgi che sono uguali a noi. Probabilmente sono anche famiglie venute in Europa per cercare fortuna. Ho anche notato forme di razzismo subdole. Ti faccio un esempio: chi dice “buttate fuori le scimmie dall’Italia” è un razzista puro; il razzista subdolo è altro: sono gli sguardi, è quando ti imbatti in persone che davanti ai bar dicono “possono stare qui, ma c’è anche la piazza”. Un razzismo tra le righe, per intenderci».

 

Enzo Faenza Accoglienza Tanagro
Foto – Solo Battipaglia

Insomma, Enzo Faenza è uno che di battaglie ne ha combattute parecchie, come quella che lui definisce “la prima battaglia social“: era il 2009 quando a Battipaglia, nei pressi della Villa Comunale di via Domodossola, stava per essere costruito l’ennesimo palazzo nei pressi di una delle poche aree verdi rimaste. Una situazione che spinse Faenza a creare un gruppo facebook che, nel giro di pochi giorni, raggiunse circa 1.000 iscritti. Persone di tutte le estrazioni, sia sociali che politiche, aderirono. Ci fu anche un sit-in di protesta con tanto di raccolta firme. E sempre a Battipaglia, durante il governo Zara (secondo), si oppose all’abbattimento degli alberi che il sindaco ordinò tanto da mobilitare la comunità per un referendum popolare che spinse il primo cittadino a ritirare l’ordinanza.

Tra le altre cose, Enzo è il fondatore del “Premio impresa etica” che, da dodici anni, viene assegnato dal Comune di Pertosa a una piccola impresa che intrattiene un rapporto etico con i propri dipendenti. Il premio è dedicato alla memoria di Anna Maria Mercadante e Giovanna Curcio, operaie morte nel rogo di una fabbrica di materassi a Montesano sulla Marcellana che ispirarono il film “Due euro l’ora” di Andrea D’Ambrosio.

Paolo Vacca

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