Mohammed VI, re del Marocco, ha deciso di sostenere progetti di educazione religiosa ad opera degli ulema per contrastare la diffusione del jihadismo.

Dopo la fondazione nel 2015 dell’Istituto Mohammed VI di formazione degli imam e la creazione nel 2016 della Fondazione Mohammed VI degli Ulema africani, il sovrano sostiene la creazione di una collana di quaderni scientifici, fatta dall’organizzazione di ulema Rabita Mohammadia.

Gli ulema, esperti di scienze religiose, attraverso questa iniziativa chiariscono i valori maggiormente strumentalizzati dalla violenza del “Califfato” di al Baghdadi come la Guerra Santa, la storia dell’Islam, la tassa imposta nel passato ai non musulmani.

Il sovrano marocchino punta sull’educazione religiosa per evitare che nella nazione si creino covi di jihadisti e che si diffonda la visione violenta dell’Islam perpetuata dagli stessi, dopo che lo stesso paese nordafricano ha conosciuto il terrorismo con gli attentati del 2003 a Casablanca in cui morirono circa 40 persone. Prima di allora il paese non si era mai preoccupato di terrorismo, né delle correnti estremiste che cominciavano a nascere proprio nel paese.

I quaderni scientifici e i nuovi manuali sono stati supervisionati da Ahmad Abbadi, segretario generale della Rabita Mohammadia, che mira ad unire sicurezza ed educazione. È grazie anche all’opera di Abbadi se il Marocco usa la religione come strumento diplomatico sia nel rapporto con gli altri stati africani, puntando al ritorno nell’Unione Africana, e sia in Europa, ponendosi come interlocutore di un Islam moderato e tradizionale.

Gli ulema si erano già schierati contro il “Califfato” nel 2014, quando i sapienti religiosi avevano inviato una missiva ad Abu Bakr al Baghdadi in cui lo accusavano di violare i precetti dell’Islam perché il suo “stato” compieva e compie stragi e persecuzioni di altre comunità religiose. Nella lettera, si chiedeva ad al Bahgdadi di ricordare che l’Islam vieta di «uccidere gli innocenti, i diplomatici, i giornalisti, e gli operatori umanitari». Gli ulema, inoltre, ricordavano che secondo i versetti del Corano non è permesso maltrattare i cristiani o qualsiasi altro seguace di fede monoteista. In riferimento alla Guerra Santa rammentavano che essa è una “guerra difensiva”, che quindi può realizzarsi solo con una causa e un proposito e che non è possibile citare versetti del Corano senza chiarire il contesto in cui quei versetti sono inseriti, senza quindi considerare la globalità del pensiero esposto nel Libro Sacro.

Tutte queste precisazioni, sono diventa necessarie dal momento in cui anche nel “tranquillo Marocco”, sono emersi casi di radicalizzazione. Questo fenomeno è stato studiato da Mohammed Masbah, ricercatore del Carnegie Middle East Center di Rabat che ha dichiarato: «Esistono molte ragioni che hanno spinto i giovani marocchini ad unirsi alla jihad e tra queste certamente ci sono emarginazione sociale, povertà, mancanza di prospettive per il futuro. La scappatoia era a pochi km di distanza, in un Paese come la Siria che non richiedeva alcun visto».

Sabrina Carnemolla

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