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Conte e il ministro Tria durante una conferenza stampa. (Fonte: Fanpage.it)

In un rapporto di inizio aprile l’OCSE – l’organizzazione che raggruppa i 35 Paesi più sviluppati al mondo – ha riformulato le proprie stime sull’economia italiana per il biennio 2019-20, e le conclusioni del rapporto non sono esaltanti per il governo Conte. Insomma, l’Italia sarà in recessione anche quest’anno: il PIL si contrarrà dello 0,2%, mentre nel 2020 crescerà dello 0,5%.

Le stime sono al ribasso rispetto al rapporto dello scorso novembre, che prevedeva una crescita dello 0,9% per entrambi gli anni. In rialzo anche il tasso di disoccupazione, pronto a salire dal 10,6% del 2018 al 12,1% del 2020. Diminuisce invece l’inflazione, che nello stesso periodo scenderà dall’1,2% allo 0,8%. Il rapporto è arrivato subito dopo la pubblicazione dei dati ISTAT sul PIL reale, che hanno confermato una contrazione dello 0,1% nell’ultimo trimestre del 2018. In conclusione, l’Italia è così tecnicamente in recessione dopo due trimestri consecutivi di flessione del PIL.

Il vicepresidente del Consiglio Luigi di Maio ha rispedito al mittente i consigli dell’organizzazione sulle politiche economiche da adottare: «Qualcuno seduto su una scrivania lontano migliaia di chilometri crede che l’Italia per ripartire debba attuare politiche di austerity? Bene, le facessero a casa loro».

In occasione della presentazione del rapporto OCSE, però, al fianco del segretario dell’organizzazione Ángel Gurría era presente Giovanni Tria, ministro dell’Economia del governo Conte. Ed ecco allora la frecciata del ministro a Di Maio, in due parole: «Austerity? L’OCSE non ne parla».

Non solo OCSE. L’incapacità di fare i conti con la realtà

Ma Tria rappresenta una voce minoritaria nel governo, una voce che preferisce discutere i numeri piuttosto che ignorarli. La naturale tendenza degli esponenti di questo governo è invece quella di evitare sistematicamente di parlare di numeri e dati, di qualcosa di concreto che vada oltre la mera propaganda. Anche agli occhi di chi non fa colazione a pane ed economia è chiaro che ciò faccia crescere un sospetto: forse i timori dell’OCSE non sono del tutto infondati.

Ma il caso OCSE è solo uno degli esempi del rapporto complicato del governo Conte con la brutalità dei dati. Perché se ne sta parlando solo ora? Perché lo scorso 9 aprile il governo ha approvato il DEF, il documento nel quale mette nero su bianco le proprie stime sul futuro economico del Paese, indicando anche in modo più o meno concreto le sue strategie.

E proprio nel DEF il governo ha dovuto ammettere le conclusioni che Di Maio non aveva voluto accettare dall’OCSE: crescita stimata rivista al ribasso (dall’1,5% della legge di bilancio allo 0,2%); deficit e debito pubblico in crescita; impatto di quota 100 e reddito di cittadinanza decisamente ridimensionato.

Per dare una misura dell’inadeguatezza del DEF, basta leggere cosa ne hanno scritto a riguardo quotidiani tutt’altro che anti-governativi come Libero, il Giornale e il Fatto Quotidiano. Giudizi impietosi.

Ma se sul terreno dell’economia il governo non ha mezzi per difendersi, ecco che i due vicepresidenti tornano a rifugiarsi nella bambagia della propaganda, lontano dai numeri e dalla realtà. Salvini e Di Maio hanno annullato ogni ospitata televisiva post-DEF, recuperando la loro strategia preferita: fare calmare le acque bazzicando sui social quando l’attualità politica mostra che il re è nudo, e indifendibile, per poi tornare a fare la voce grossa quando anche il DEF come notizia avrà fatto il suo corso.

Quando si parla di economia, però, non c’è breaking news che tenga. E i numeri che ora il governo ignora (quando vengono prodotti dagli altri) oppure produce (sperando che vengano ignorati) presenteranno un conto che si preannuncia salato. E allora sarà difficile trovare un’altra OCSE di turno con cui prendersela per giustificare una realtà economica sempre più desolante.

Davide Saracino

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