Manca pochissimo alla campanella del primo giorno di scuola, per alcuni è anche già suonata. A breve tutti gli istituti scolastici apriranno le porte a un nuovo anno accademico e torneranno ad essere popolati da nuovi e vecchi alunni, ancora un po’ storditi dalla fine mai desiderata delle vacanze estive. Voci e volti di giovani e giovanissimi, molti dei quali con provenienze geograficamente e culturalmente differenti, anche molto lontane dall’Italia.

La presenza di alunni stranieri nella scuola italiana è ormai da più di un decennio un dato strutturale.

Già nel 2011, in Noi domani, Vinicio Ongini ripercorreva alcune storie delle migliaia di giovani migranti presenti nelle scuole del territorio italiano. In Italia erano “solo” l’8,5%, circa 800.000 unità, un numero modestamente contenuto rispetto agli altri Stati europei, ma in forte crescita rispetto ai cinque anni precedenti: nel 2004-2005, si parlava di appena 400 mila studenti stranieri.

Oggi, in piena “emergenza immigrazione”, la sensazione generale è di uno scenario profondamente cambiato, anche rispetto a quel 2011. Secondo diversi studi, infatti, il “tasso di immigrazione percepita” varia dal 20 al 30 per cento, declinandosi in diverse manifestazioni di allarmismo, a seconda della dimensione istituzionale di riferimento: sarebbero “troppi” i migranti senza tessera sanitaria negli ospedali, “troppi” i delinquenti senza permesso di soggiorno nelle carceri, “troppi” gli extra-comunitari in fila per le case popolari e, infine, “troppi” i bambini non comunitari nelle scuole.

Lo scenario dei dati, però, descrive una realtà sensibilmente discorde rispetto ai sensazionalismi: il numero di stranieri presenti in Italia corrisponde a circa l’8% della popolazione. Entrando nelle aule scolastiche, poi, si nota subito una composizione sempre più multiculturale, ma non così sorprendente: nell’anno scolastico 2016-2017 gli iscritti a non avere la cittadinanza italiana erano il 9,49%, quasi uno studente su dieci, con un picco nella scuola primaria (36,6%), seguita da quella secondaria di secondo grado (23%). Romania, Albania e Marocco sono i primi Paesi d’origine.

Un tasso apparentemente misurato, addirittura ancora al di sotto della media europea. A questo c’è da aggiungere che con “straniero” o “non comunitario” si indicano anche i migranti di seconda generazione: il 60% di questi è nato in Italia, media che nella scuola d’infanzia arriva all’85%. Solo il 5% delle classi ha una percentuale di alunni stranieri superiore al 30%, che diventa appena lo 0,7% contando solo i nati all’estero.

Eppure, negli ultimi due anni non sono mancati gli episodi di protesta da parte di genitori italiani che lamentavano classi in cui i propri figli fossero in minoranza: emblematico a questo proposito il caso della scuola media Paolo Uccello, nel quartiere Piagge di Firenze, dove, dopo la pubblicazione delle nuove prime, alcuni genitori hanno denunciato la presenza di classi con “addirittura” «14 stranieri e 5 italiani», temendo un ritardo nella didattica, oltre alla solita ombra della grande «sostituzione». Una preoccupazione, a detta della preside della scuola, del tutto immotivata, non solo perché «Tutti, e dico tutti, i ragazzi che si sono iscritti in prima hanno frequentato le scuole elementari qui da noi e, esclusi pochi casi, sono ragazzi nati in Italia», ma anche perché «molti dei bambini con cognomi non italiani hanno medie alte, in ogni classe ce ne sono alcuni con la media del nove».

Tuttavia, al di là delle polemiche più superficiali, l’importanza e la complessità del processo di integrazione dei migranti all’interno delle scuole è indubbia. Da fenomeno trasversale e non temporaneo necessita di un’altrettanto lungimirante risposta, che fornisca a genitori e insegnanti le linee guida per poter gestire positivamente una situazione che per l’Italia è ancora relativamente inedita. Se è vero che la presenza di alunni stranieri può essere davvero un’opportunità di arricchimento per tutta la scuola, senza opportuni strumenti e misure di integrazione, la dimensione inter-culturale può diventare controversa e problematica.

Questo si nota soprattutto analizzando la complessità geografica del nostro territorio: come già segnalava Ongini nel 2011, la presenza di alunni stranieri in Italia è molto disomogenea. Secondo i dati del MIUR, mentre per le regioni del centro e del nord la scuola multietnica è ormai una realtà consolidata, al sud e nelle isole, salvo rare eccezioni, si tratta ancora di un fenomeno marginale. Non stupisce, allora, che in qualche classe di Milano la presenza di bambini non comunitari in una classe superi addirittura al 90% o se per l’anno accademico 2017-2018 il preside dell’Istituto Giulio Cesare di Mestre abbia deciso di introdurre un tetto del 40% di alunni stranieri per classe.

Il rischio di una ghettizzazione dei migranti anche tra i banchi di scuola è in parte dovuta alla decisione di genitori italiani di trasferire i propri figli in altre classi più “italianizzate”, ma è anche la conseguenza di una non ancora sufficiente organizzazione degli orizzonti inter-culturali da parte delle regioni e dei comuni. Nonostante le classi multiculturali siano una condizione ormai diffusa tanto nelle grandi città quanto nei piccoli comuni, queste trasformazioni sociali non sono sempre state accompagnate da piani strutturali e condivisi, né da una approfondita riflessione professionale e pedagogica.

Oltre alla presenza e alla distribuzione geografica, ci sono altri quattro dati da tenere in considerazione per comprendere meglio la situazione inter-culturale all’interno delle scuole: il ritardo scolastico, le bocciature, l’abbandono scolastico e la scelta delle scuole superiori. Secondo i dati del MIUR, mentre negli ultimi anni c’è stata una lieve diminuzione del ritardo scolastico, le bocciature restano consistenti nel momento dei passaggi scolastici più complicati, soprattutto quello dalle scuole medie alle superiori. L’abbandono scolastico riguarda per lo più le ragazze provenienti da Pakistan, Bangladesh e India e interessa particolarmente la seconda generazione. Il quarto dato, infine, «ci dice che gli studenti di origine straniera scelgono in maggioranza gli istituti tecnici e professionali – che rappresentano il gradino più basso del nostro sistema scolastico – e molto meno il liceo – pochissimi scelgono il liceo classico – e questo perché credono, o vengono spinti a credere, di non poter accedere a scuole più complesse. Però negli ultimi due o tre anni abbiamo osservato un forte aumento della scelta del liceo scientifico, e questo è dovuto proprio alle seconde generazioni».

Il 7 giugno 2016, la Commissione europea ha lanciato il “Piano d’azione sull’integrazione dei cittadini dei paesi terzi“, dove si sottolinea la necessità di integrare i numerosi giovani provenienti da contesti migratori o rifugiati in Europa. Se, infatti, è ormai chiaro che il tema dell’accoglienza esige risposte non più emergenziali ma lungimiranti, il perno di questa lungimiranza deve essere la scuola, luogo del diritto universale allo studio e pilastro di qualsiasi progetto di convivenza.

Rosa Uliassi

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