–“Sapete voi quanti siano gl’impedimenti dirimenti?”
–“Che vuol ch’io sappia d’impedimenti?”
–“Error, conditio, votum, cognatio, crimen, Cultus disparitas, vis, ordo, ligamen, honestas, Si sis affinis,…”– cominciava don Abbondio, contando sulla punta delle dita.
–“Si piglia gioco di me?”– interruppe il giovine. –“Che vuol ch’io faccia del suo latinorum?”
(A.Manzoni, I Promessi Sposi, cap. II)
Sono giorni di incerte speranze e di pessime conferme, per l’ambiente.
Il 17 Aprile si vota. Che è già un bel dire, di questi tempi, in Italia.
E, tutto sommato, le discussioni delle ultime ore ci hanno regalato anche un’altra grande certezza: c’è qualcuno, lì al Governo, che se avesse il potere di decidere tout court se indire o no il Referendum sulle trivelle sostenuto da Regioni, NoTriv, associazioni ambientaliste e un centinaio di comitati locali (“comitatini”, ebbe da dire un giorno), probabilmente risponderebbe come il Don Abbondio di manzoniana memoria:
non s’ha da fare, né domani, né mai.
Quello andato in scena nell’ultimo Consiglio dei Ministri, di fatto, non è che l’ultimo round del match che da qualche anno si gioca nei mari italiani e che si preannuncia tesissimo sin dalle prime battute: da una parte – sul fronte pro trivelle – il governo Renzi, che già nello Sblocca Italia aveva avocato a sé le determinazioni sulle concessioni petrolifere, di fatto estromettendo le Regioni, e dall’altra parte – nell’eterogeneo coro di oppositori – ben 9 consigli regionali (Basilicata, Marche, Puglia, Sardegna, Veneto, Calabria, Liguria, Campania e Molise), parte dello stesso Partito Democratico, il Movimento Cinque Stelle, Possibile, Sinistra Italiana, i già citati e numerosissimi comitati locali.
Già. Perché la vera notizia, ed è il caso di rimarcare la questione, non è che il Referendum si farà (siamo ancora in democrazia e il lungo elenco anzi detto varrà pure qualcosa!), ma che si è scelto di non fissarlo in congiunzione con le amministrative del prossimo giugno, quando si voterà nelle principali città italiane – Napoli, Roma, Milano, Torino e Bologna comprese. Niente Election Day, come chiedeva anche la petizione lanciata da Greenpeace che in pochi giorni ha raccolto 70mila firme, ma voto fissato al 17 aprile, tra due mesi.
Lo stesso argomento del referendum, nonostante fosse uno dei temi caldi e più sentiti tra quelli discussi nell’ultimo Consiglio dei Ministri, non è stato né inserito tra gli argomenti all’Odg né è stato affrontato successivamente nella conferenza stampa del Premier.
Impedimenti dirimenti.
Mancano quindi 60 giorni, giorno più giorno meno.
Se era già difficile raggiungere il quorum di per sé altissimo (metà degli aventi diritto più uno), ora portare milioni di persone al voto, in soli due mesi e senza il benché minimo accenno di un serio dibattito pubblico sulle trivellazioni petrolifere, diventa quasi impossibile anche con la migliore organizzazione. E dire che ce l’ha messa tutta, Matteo Renzi, novello Frank Underwood dei poveri, ad evitare la consultazione.
Con alcuni emendamenti alla recente legge di stabilità, infatti, il Governo già lo scorso dicembre aveva tentato di smontare sul nascere i quesiti referendari, con una mossa definita dal Coordinamento NoTriv un vero e proprio ”atto di sabotaggio” (per cui rimandiamo all’analisi punto per punto del costituzionalista Enzo Di Salvatore): modificando in minima parte la disciplina in materia e lo stesso art.38 dello Sblocca Italia, oggetto della contesa, si riuscì infatti a far approvare dalla Consulta solo uno dei sei quesiti originari, lo scorso 19 gennaio.
Non c’è da sorprendersi, quindi, che da destra a sinistra, passando per movimenti e associazionismo vario, il messaggio di condanna sia quasi unanime: durissima Greenpeace, che parla di «democrazia affossata», così Legambiente e molti altri, esponenti politici e non, che hanno sottoscritto l’appello al Presidente della Repubblica a non indire il referendum il 17 aprile e a ripensare il tutto. Dovrà essere infatti Sergio Mattarella a recepire il decreto del Cdm e a inaugurare ufficialmente la corsa verso il voto: solo allora partiranno ufficialmente le campagne tra favorevoli e contrari all’abrogazione della norma che stabilisce che le concessioni petrolifere già rilasciate durino fino all’esaurimento dei giacimenti.
«La decisione del Governo non tiene conto di ulteriori due elementi oggettivamente importanti», si legge nella nota inviata al Capo dello Stato, laddove l’Election Day permetterebbe di «risparmiare una cifra stimabile tra i 350 e i 400 milioni di euro». Inoltre, secondo i firmatari, non si considera che alla Corte Costituzionale «pendono conflitti di attribuzione per altri due quesiti sullo stesso argomento su cui, qualora il giudizio della Corte dovesse essere positivo, si potrebbe votare in un’unica data. Nel 2016 gli italiani potrebbero essere chiamati alle urne fino a cinque volte: per i due referendum abrogativi sulla questione trivellazioni, per le elezioni amministrative (primo turno e ballottaggio) e in autunno per il referendum costituzionale.»
“Error, conditio, votum, cognatio, crimen…”
Come minimo ci sarà una buona ragione, un impedimento dirimente, un ostacolo!
E invece, con la nonchalance di chi nemmeno deve snocciolarti davanti il mantra del diritto canonico, il ministro dell’Interno Angelino Alfano, durante un question time alla Camera il 3 febbraio, ha giustificato il mancato Election Day parlando seccamente di «difficoltà tecniche non superabili in via amministrativa, […] come la diversa composizione degli uffici elettorali, la ripartizione degli oneri e l’ordine di successione delle operazioni di scrutinio».
Ha poi voluto chiarificare ulteriormente il suo latinorum, spiegando che «le norme in materia prevedono, per esempio, che l’ufficio di sezione sia composto da quattro scrutatori per le consultazioni amministrative, mentre per quelle referendari ne sono previsti tre.»
«Servirebbe una legge apposita».
Ma scusi, ministro, Lei non è al Governo?
Antonio Acernese