Il dottor Rohan Borschmann, insieme ad un gruppo di stimabili colleghi, ha portato avanti per più di vent’anni uno studio atto a dimostrare gli effetti psicologici e sociali dell’autolesionismo adolescenziale nell’età adulta.
Un argomento rimasto a lungo appannaggio di riservate riflessioni personali, o esperienze di vita, diventa per la prima volta oggetto di un’analisi scientifica che va al di là della semplice comprensione delle cause, ma ne ricerca con attenzione gli effetti.
Il team di studio ha reclutato nel lontano 20 agosto 1992 un gruppo di 1.671 adolescenti da 44 scuole diverse nello stato di Victoria, Australia. Di questi 135 dichiararono alla prima intervista di aver assunto almeno una volta nella vita comportamenti autolesionisti e suicidi, quali che siano tagliarsi o bruciarsi, assumere sostanze nocive, tentativi di auto-annegamento o impiccagione, elettroconduzione intenzionale, soffocamento e altro.
Le prime analisi dimostrarono che nel gruppo di autolesionisti fossero più frequenti i riscontri di divorzio genitoriale, disordini mentali e comportamenti antisociali, rispetto ai soggetti che affermarono di non aver mai tentato comportamenti che causassero danno al proprio corpo. Fu riscontrato nello stesso anche un maggior abuso di sostanze lecite e illecite, come tabacco, alcol e droga.
Le stime sono state ripetute periodicamente fino ai 35 anni dimostrando che l’autolesionismo adolescenziale si interrompeva gradualmente con l’ingresso nell’età adulta, a favore di problematiche di altro tipo.
In questi soggetti, infatti, è stata riscontrata l’incapacità di mantenere una relazione romantica stabile, una maggiore incidenza di divorzio o separazione dopo una convivenza durata più di due anni, e soprattutto problemi finanziari, valutati con il riscontro di difficoltà quali incapacità di trovare lavoro, pagare le bollette, l’affitto o il mutuo in tempo. È stato, infine, evidenziato un aggravarsi delle statistiche riguardanti l’abuso di alcol, fumo e droghe.
Roberta De Martino, psicologa e psicoterapeuta ad orientamento sistemico relazionale, ha rivelato che: “L’autolesionismo è un comportamento che spesso si viene a creare quando la psiche del ragazzo, che è in fase di trasformazione, non riesce a contenere delle esperienze particolarmente dolorose. Elaborare una forte sofferenza, a volte, passa proprio attraverso il corpo”.
“Capita anche che non si possa rievocare il passato e i sentimenti vissuti, in questi casi il dolore fisico è un modo per sentirsi vivi. Un trauma represso e non elaborato può dare origine ad una serie di comportamenti che in qualche maniera cercano di avvicinare la psiche al vissuto che non si riesce a dichiarare ed elaborare.” ha aggiunto poi la dottoressa.
“Le conseguenze della vita adulta sono ben descritte nello studio, non bisogna sottovalutare gli indizi che porta alla luce. L’unico modo per gestirli è iniziare una psicoterapia. L’importante è che si faccia un lavoro sulla psiche che aiuti la persona a ristabilire un equilibrio interiore, elaborare la propria storia personale, orientarsi verso la realizzazione del sé in modo più consapevole.” ha concluso De Martino.
Nel caso ci troviamo di fronte una persona che ha ormai superato l’età adolescenziale, non fa più autolesionismo, ma è già arrivata ad una forma di tossicodipendenza o gioco d’azzardo non c’è alcun dubbio che si debba affidare alla psicoterapia, ma è chiaro che la difficoltà di tornare a lavorare su dei nuclei problematici è più elevata, perché ormai si è cronicizzato un comportamento deviante.
L’incuria può portare, infatti, al cronicizzarsi di un malessere emotivo che nel periodo dell’adolescenza causa autolesionismo e che protraendosi nel tempo porta problemi di pari gravità, ma più subdoli, tali da rendere impossibile un rapporto romantico duraturo o la stabilità finanziaria. In ogni caso qualunque sia il periodo esistenziale in cui si vada ad agire per ristabilire l’equilibrio psichico di un individuo l’adozione di una terapia è essenziale per consentire la possibilità di una vita serena.
Angela Abate