Da venerdì 10 a domenica 12 luglio a Roma, in piazza dei Sanniti, si è svolto il festival Contrattacco organizzato dalla casa editrice indipendente Alegre. Le tre giornate sono state dedicate a libri e dibattiti per tornare a far circolare idee e opinioni, finalmente dal vivo. L’evento si è svolto anche grazie ai volontari e alle volontarie del Nuovo Cinema Palazzo, che hanno offerto lo spazio per ospitare l’evento.
Ha aperto il festival la presentazione del settimo numero di Jacobin Italia (edizione italiana dello statunitense Jacobin Magazine), una rivista trimestrale edita da Alegre. Il titolo del nuovo numero, “La Cura”, dà l’idea dei tempi in cui è stato pensato e costruito: il lockdown. La discussione ha riguardato il capitalismo in stato di shock, che «in due mesi crolla» come affermato dalla sociologa Giorgia Serughetti, e la necessità di guardare alla pandemia come punto di rottura della storia, da affrontare tramite pratiche solidali applicate a livello locale.
Il dibattito successivo di Contrattacco ha riguardato una discussione su mutualismo e città: coordinati da Giulio Calella, direttore generale di Alegre, i rappresentanti di realtà romane come Libera Repubblica di San Lorenzo, Nonna Roma, ControTempo e Grande come una città hanno raccontato le loro iniziative per aiutare chi durante il lockdown si trovava in difficoltà.
Il secondo giorno di Contrattacco è stato dedicato alla letteratura working class. Alberto Prunetti (direttore della collana Working Class di Alegre) ha presentato a Contrattacco “Nel girone dei bestemmiatori”, un romanzo sull’incontro dello scrittore col padre defunto ora all’inferno. Qui Prunetti scopre il padre svolgere lo stesso duro lavoro fatto in vita: l’inferno è infatti una fabbrica simile a quelle che si trovano sulla Terra, mentre Dio è un architetto che ha faticato solo sette giorni in vita sua.
Sempre Prunetti ha presentato “Chav, Solidarietà coatta“, un libro da lui “scoperto” in un sito di letteratura working class inglese e molto importante per comprendere il dibattito su movimenti sociali e militanza politica. Pubblicato da Alegre, protagonista e autore del libro è Dan Hunter, un «coatto quarantenne di Nottingham che nei primi venticinque anni si è guadagnato il pane in un’economia informale che includeva furti, spaccio e sex work» come scritto nelle prime righe di presentazione sulla quarta di copertina.
Prunetti e Hunter esprimono il bisogno della working class di raccontarsi da sé, e non più da quella sinistra «senza lotta di classe che si autoriduce a una parte di borghesi benpensanti che si sentono inutilmente superiori perché hanno letto più libri» dice lo scrittore Wu Ming 4 nell’introduzione di “Chav“. Il termine (un acronimo dall’inglese “Council House and Violent“) può essere tradotto con “coatto” nell’accezione di “rozzo, incivile, violento”. In Inghilterra è utilizzato per indicare il lumpenproletariat, la parte più disagiata della working class nella quale rientrano anche «indesiderabili come barboni e criminali». Nella cultura anglosassone il termine viene usato diversamente dalle varie declinazioni che la parola “coatto” può avere in Italia, come ha fatto notare Valerio Mattioli.
«Il libro è una legnata», e chi lo presenta a Contrattacco lo dice subito. Dan Hunter racconta i suoi primi venticinque anni di vita segnati da prostituzione, abuso di alcool e droghe, violenza e riformatori, servizi sociali, galera, ostilità verso le istituzioni, solidarietà tra ultimi. La molla che lo ha convinto a scrivere questo libro e a intraprendere la militanza politica per aiutare chi vive nelle stesse condizioni in cui lui è cresciuto, è stata la lettura di Antonio Gramsci e Angela Davis mentre si trovava in carcere. È un libro molto duro che va oltre la narrazione di episodi autobiografici: Dan Hunter vede la sua difficile condizione come uno degli effetti del neoliberismo tatcheriano; trova nel capitalismo il maggiore impedimento alla mobilità sociale in Inghilterra, condannando per sempre gli ultimi all’invisibilità.
L’autore di Chav dà umanità a quelli con cui ha condiviso la strada e le esperienze: ricorda chi ha tentato di ucciderlo, chi è morto per proteggere la persona che amava, chi l’ha aiutato a sputare sangue, denti e sperma dopo uno stupro subito e che poi è sparito senza voler essere ringraziato. «Chav è una legnata» perché racconta della forte solidarietà che c’era tra i “coatti” degli anni Ottanta, mentre oggi il sostegno reciproco all’interno delle classi disagiate si basa molto di più sulla vicinanza etnica, di genere e razza: pur vivendo in condizioni simili i figli della working class «ignorano – dice Hunter – di appartenere alla stessa classe sociale». Questa è diretta conseguenza del fatto che «uno degli scopi principali dello Stato e del capitalismo (…) è indebolire l’identità di classe attraverso le abitudini culturali e il consumismo».
Il libro ha un risvolto politico importante: Dan Hunter oggi è impegnato nella lotta di resistenza contro «una società che crea disuguaglianze perché le carte da gioco sono truccate» e se da una parte fa una critica nei confronti di chi partecipa ai movimenti ma gode di sicurezza economica, dall’altra critica anche se stesso chiedendosi il perché di tanta diffidenza nei confronti delle realtà politiche che ha conosciuto. Non c’è autocommiserazione nelle parole di Hunter: nonostante tutto, ricorda al lettore che poteva essere una donna, poteva essere un nero. Che tutto sommato è un privilegiato.
Per la complessità dei temi che solleva, per la forza con cui lo fa – e per il tentativo rabbioso di scardinare gli schemi mentali di chi legge, dato che la maggior parte dei lettori saranno appartenenti alla middle class – unita alla riflessione sui diversi immaginari che il concetto di working class genera in Inghilterra e in Italia, Chav è un racconto duro ma necessario per chi vuole abbattere quei muri che sa di poter trovare anche dentro il suo cuore. No all’assistenzialismo o al paternalismo, ci dice Hunter, neanche quello dalle migliori intenzioni, dato che questi sono i tentativi della classe media di imporre le loro norme sociali agli ultimi, come per tentare di addomesticarli.
La seconda serata di Contrattacco si è conclusa con Alberto Prunetti e Luca Pisapia, che hanno presentato “Futbol. Una storia sociale del calcio argentino” di Osvaldo Bayer, altra nuova uscita di Alegre. Bayer racconta lo sviluppo del calcio in Argentina: da pratica esclusiva dei lavoratori inglesi che giocavano durante le pause escludendo i colleghi argentini considerati fisicamente inadatti, a motivo di riscatto grazie ai gol di Maradona nella famosa Argentina-Inghilterra dei Mondiali dell’86, “vendicando” così la sconfitta nella guerra delle Falkland/Malvinas.
Anche nel terzo e ultimo giorno di Contrattacco si è parlato di storie e persone che hanno deciso di raccontarsi da sé, senza il bisogno di autori esterni al loro mondo. “Marx nei margini” di Miguel Mellino, edito sempre da Alegre, è una raccolta di scritti e biografie di studiosi e studiose di Marx che, in quanto non bianchi e non occidentali, ci si è sempre dimenticati di «collocare al centro del dibattito teorico-politico». I contributi che compongono il libro mettono in risalto un grande limite storico del marxismo delle origini, ovvero il fatto di non essersi mai misurato con il razzismo. Oggi che il razzismo e la segregazione sociale sono alla base del sistema produttivo, è più che mai importante dare voce a chi la discriminazione la vive sulla propria pelle non bianca e non occidentale.
L’evento conclusivo del festival Contrattacco è attorno al libro di Nexus chiamato “Stradario hip hop“, risultato di un lungo percorso di ricerca e scrittura per raccontare il complesso mondo di questo genere musicale. Il libro fa parte della collana di Alegre chiamata Quinto Tipo e diretta da Wu Ming 1, un progetto che raccoglie i cosiddetti “ibridi narrativi”: racconti a metà tra saggio e romanzo, tra fiction e biografia. «Finalmente un libro scritto da un B-boy» ha commentato Mc Shark, e allo stesso modo Giulia Chimp della Wildup Crew ha sottolineato l’importanza di un racconto proveniente dall’interno della “scena” e non da esterni.
Contrattacco ha mostrato la voglia di salire in cattedra e raccontare la propria storia da parte di chi ha sempre visto altri – estranei al loro stile di vita, ai loro conflitti e alle loro strategie di sopravvivenza – rubargli la parola. L’obiettivo è spodestare chi è sempre stato in cattedra invitandolo ad ascoltare e, finalmente, a tacere.
Giovanni Esperti