Si sono concluse le indagini della Procura di Napoli relative alla cosiddetta “cella zero” del carcere di Poggioreale, a Napoli: i procuratori aggiunti Rametta e Loreto hanno emesso 23 avvisi di conclusione delle indagini nei confronti di 22 agenti di polizia penitenziaria e di un medico del penitenziario: nei confronti degli indagati sono stati ipotizzati vari reati, tra cui sequestro di persona, abuso di autorità, maltrattamenti, lesioni, violenza privata.

Il nastro di questa complessa e ancora poco chiara vicenda si riavvolge fino al 2012, quando cominciarono a trapelare notizie di violenze perpetrate da un gruppo di agenti della polizia penitenziaria ai danni dei detenuti, alcuni dei quali avrebbero peraltro cominciato a denunciare i maltrattamenti subiti solo nel 2014: portati in un locale “fantasma” del carcere, la “cella zero”, appunto, insonorizzata, senza videosorveglianza, con le pareti sporche di sangue, costoro hanno raccontato le violenze ipotizzate nel provvedimento della magistratura, riferendo che talvolta sono stati maltrattati fino a subire, sembra, la perforazione di timpani a causa di percosse e umiliazioni. Secondo le testimonianze, le vittime sarebbero state anche denudate, incappucciate e minacciate di morte.

Le indagini si sono rivelate particolarmente complesse (i magistrati, lo scorso anno, hanno anche dovuto chiedere una proroga di sei mesi per proseguire gli accertamenti), anche per i numerosi soggetti coinvolti; in generale, poi, la questione del mancato rispetto dei diritti umani nella Casa circondariale napoletana ha interessato anche la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo e lo stesso Parlamento Europeo, che, con inchieste proprie e ispezioni, hanno negli scorsi due anni sollevato un polverone tale da determinare la rimozione dell’ex direttrice del carcere Teresa Abate, trasferita ad altra sede.

Per l’accertamento della verità si sono battute anche diverse associazioni, tra cui Antigone Campania, dalle cui fila Pietro Gonnella commenta (al Mattino) così il provvedimento dei PM: <<Quello che ci auguriamo è che si arrivi presto ad appurare eventuali responsabilità senza che, nel caso di colpevolezza degli indagati, intervenga la prescrizione come già avvenuto in altri casi simili>>. Rapidità dell’azione giudiziaria e certezza delle eventuali pene: <<il rischio di prescrizione, proprio nei casi di colpevolezza, è sempre molto alto poiché spesso le denunce avvengono molto tempo dopo i fatti, anche per paura di eventuali ritorsioni finché si è sottoposti a custodia>>. Tra l’altro si ripropone, come afferma ancora Gonnella, il problema dell’inesistenza di un reato di tortura nell’ordinamento penale italiano.

22 agenti e un medico, lo si ripete, sarebbero coinvolti: il sanitario sarebbe stato individuato responsabile di non aver denunciato d’ufficio le botte subite dai carcerari arrivati in infermeria. Nelle ultime ore, com’era prevedibile, i sindacati della polizia penitenziaria hanno difeso gli indagati. In un comunicato riportato ancora dal Mattino, Eugenio Sarno, presidente nazionale della Uilpa, ammette l’esistenza della “cella zero”, ma ridimensionandone il ruolo sinistro che è emerso finora dalle indagini: <<Altro che torture, quella stanza esiste ma è destinata alla tutela dei detenuti che si teme possano tentare il suicidio o compiere gesti di autolesionismo>>. In più, gli agenti riguardati dal provvedimento giudiziario hanno contestato ulteriormente il proprio coinvolgimento, asserendo di essere pronti a produrre le copie degli orari di lavoro e dei turni, per smentire in qualsiasi senso quantomeno di aver presenziato alle violenze da cui deriverebbero gli addebiti ipotizzati.

Ludovico Maremonti

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