Il tribunale di Milano ha respinto il ricorso presentato il 27 ottobre del costituzionalista Valerio Onida in merito al referendum del 4 dicembre, confermandone la data.
Secondo Onida, il quesito referendario lederebbe la libertà di voto, in quanto chiede al popolo di esprimersi su tematiche disomogenee (superamento del bicameralismo paritario, riduzione del numero dei parlamentari, contenimento dei costi della politica, abolizione del CNEL e revisione del titolo V della Costituzione), accettando o respingendo l’intero pacchetto.
La richiesta di Onida era infatti quella di “spacchettare” il quesito in cinque diversi, sui quali esprimersi singolarmente.
Il tribunale ha respinto il ricorso e rifiutato lo spacchettamento in quanto nel caso di una «riforma costituzionale di ampio respiro come possono essere revisioni della Costituzione interessanti più articoli e più titoli, da definirsi pur sempre revisioni parziali, il referendum nazionale non potrà che riguardare la deliberazione parlamentare nella sua interezza, non potendosi disarticolare l’approvazione o il rigetto di un testo indiviso alla sua fonte, le cui diverse parti sono in rapporto di reciproca interdipendenza».
La questione della disomogeneità delle tematiche è stata affrontata più volte da quando è stato annunciato il referendum. Non è difficile, infatti, sentire simpatizzanti del sì riconoscere vari aspetti negativi presenti nella riforma, o simpatizzanti del no condividerne alcuni punti. Ciò evidenzia un ulteriore sintomo di una negatività di fondo della riforma: la scarsa condivisione della riforma stessa, fattore presente già a partire dai passaggi parlamentari.
Il nuovo testo costituzionale è stato difatti approvato a colpi di maggioranza, essendo sostenuto in pratica solo dalle forze governative. E tra i cittadini la spaccatura è ancora maggiore.
La Costituzione è la legge cardine dello Stato e ne pone le fondamenta. Una riforma riguardante un terzo di essa dovrebbe essere redatta e approvata con una condivisione quasi pari a quella dell’Assemblea Costituente, che riuniva comunisti, socialisti, democristiani, liberali. L’attuale riforma, invece, è stata trattata come una qualunque legge ordinaria, scritta e voluta solo dal Governo.
Per ottenere un maggiore consenso tra le altre forze politiche e tra i cittadini, si sarebbe potuto quantomeno ridurre le tematiche trattate, evitando la divisione nel Paese. O affrontare alcune tematiche senza modificare la Costituzione: uno dei temi principali della propaganda del sì è quello dei tagli ai costi della politica, che potrebbe essere affrontato andando a ridurre direttamente i guadagni di parlamentari, presidenti, consiglieri e così via.
Obiettivi largamente condivisi, come la riduzione dei costi della politica e la soppressione del CNEL, rischiano dunque di diventare uno specchietto per le allodole per far passare un restringimento della democrazia diretta e rappresentativa (aumento firme per i referendum e le leggi di iniziativa popolare, aumento dei poteri di esecutivo e premier, non elettività del Senato), un processo legislativo più confuso (articoli 70-73) e una minor chiarezza nelle competenze tra Stato e Enti locali (Titolo V).
Pietro Marino
Il mio è un commento tecnico visto che mi sono pronunciato pubblicamente per un sano, convinto e meditato “NO” al referendum.
Con tutto il rispetto per la indiscussa autorità di Onida ma il ragionamento di “spacchettare” non stava in piedi anche solo per una questione di tecnica di scrittura o riscrittura della Carta dopo il 4 dicembre.
Siccome i temi sono intrecciati ed il contenuto interessa tanti articoli della Costituzione come si poteva immaginare di lasciar scegliere gli elettori su singole parti? Come si sarebbe “rammendata” una Carta che magari sarebbe uscità con un testo sforacchiato e a macchia di leopardo da possibili giudizi simultanei di cancellazione e mantenimento di testo preeesistente e pure di inserimento appropriato di un nuovo testo della riforma Boschi-Verdini?
Cerco di esser più chiaro con un esempio.
L’articolo 99 della Costituzione riguarda il CNEL. . Supponiamo si fosse spacchettato e l’articolocancellato a furor di popolo .
L’articolo 71 regola il procedimento legislativo e contiene, nel testo, un riferimento anche al CNEL.
Con quale testo sarebbe uscito l’art. 71 dal referendum spacchettato e con l’art. sul CNEL abrogato?
Non lo si sarebbe certo potuto riscrivere col referendum che, come ha scritto il giudice, non è di tipo propositivo.
Quindi andiamo a votare tranquillamente e speriamo che una valanga di “NO” travolga una riforma confusa e che priverebbe i cittadini di un potere di scelta e di un diritto di voto che stanno scritti,quelli sì, con estrema chiarezza nel secondo comma del primo articolo: “La sovranità appartiene al popolo che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione”
Tanto, dopo la vittoria del “NO”, se si vorrà eliminare il CNEL basteranno, a norma dell’art. 138, “almeno tre mesi” tra i due voti di Camera e Senato.
Per inciso questo continuerebbe ad accadere anche se vincessero i “SI”, altro che superamento del bicameralismo paritario….
E se dopo aver bocciato la riforma il 4 dicembre si formasse anche un movimento di opinione in grado di “imporre” democraticamente anche all’attuale Ministro dell’Istruzione Giannini la necessità di ripristinare nelle scuole superiori lo studio della Costituzione credo che i benefici e le scelte dei cittadini sarebbero indubbi e le scelte future sicuramente motivate nel merito.
Franco Labella (docente in via di estinzione di Diritto)