Asseriva in una delle sue maestose opere il filosofo rumeno Emil Cioran:
“La nostalgia, più di ogni altra cosa, ci dà il brivido della nostra imperfezione”.
Il senso proprio di questa affermazione è ben esplicitato nel film di Paolo Sorrentino “Youth – La giovinezza”.
Fred Ballinger e Mick Boyle trascorrono una vacanza in un albergo alle pendici delle Alpi svizzere, dove alloggiano anche un attore hollywoodiano noto al pubblico solo per il ruolo di robot che ha interpretato, nonostante abbia preso parte a molti più film, la figlia di Fred, lasciata in tronco dal marito.
Fred, anziano direttore d’orchestra, è avvolto da una perenne condizione di atavica apatia che osteggia la dirompente gioia di vivere del suo migliore amico Mick, il quale è alle prese con il suo ultimo film che definisce anche come “testamento artistico”, il cui titolo, sardonicamente conferito, è “L’ultimo giorno della mia vita” .
In questo hotel, che si presenta come un vero e proprio luogo asettico, quasi refrattario al rintronante rumore del mondo, immerso nell’imperioso silenzio della vita, i due amici rievocano, attraverso i loro racconti, la più ridente fase della loro esistenza: la giovinezza. Con l’impetuosa prepotenza del ricordo che non lascia tregua, affiora la nostalgia dei tempi andati e irrecuperabili nella loro lontananza, la malinconia, che è l’incontrastata compagna della vecchiaia e il rimpianto, efferato protagonista al centro della solitudine che si impossessa degli uomini nella tarda età. Si annida furtivamente il demone del mal di vivere che percorre le anime dei due personaggi: in Fred esso si manifesta con il torpore e l’inerzia nei confronti di ogni cosa che lo circondi, che gli impedisce di coltivare gli affetti e lo distoglie persino dal recarsi a far visita a sua moglie, ormai in stato vegetativo; Mick, al contrario, cerca di esorcizzare questa vanificante condizione attraverso l’assoluta dedizione al film che tenta disperatamente di realizzare, per il quale egli sollecita in modo impellente la presenza di un’attrice, Brenda Morel, divenuta celebre grazie a lui.
Si innesca, quindi, il meccanismo del “metafilm”, ovvero il tessere le trame per un film all’interno di un altro film.
Nel frattempo, il direttore d’orchestra è perseguitato da un emissario della regina Elisabetta, che pretende che egli suoni le sue “canzoni semplici”, nonostante opponga ripetuti rifiuti.
Come tradizione di Sorrentino, l’estetica del film è fellinianamente onirica, sontuosa, maestosa, quasi in conflitto con l’imponente, ma leggera nostalgia che attraversa l’intera trama. Non mancano le scene di balletti rocamboleschi e spettacoli lirici che si svolgono all’interno dell’hotel, in perpetuo contrasto con la malinconica contemplazione del passato e di un tempo che ormai non ritornerà più, quale quello della giovinezza. Una giovinezza considerata come condizione caduca, sfuggente, irrisoria, effimera, quasi come se non fosse mai esistita. Riferendosi alla prospettiva che si ha da un binocolo, Mick afferma:
“Questo è quello che si vede da giovani: si vede tutto vicinissimo; quello è il futuro. E questo è quello che si vede da vecchi: si vede tutto lontanissimo; quello è il passato”.
La giovinezza è, quindi, intesa come dimensione prorompente della meraviglia dell’esistenza, il cui ricordo immalinconisce inesorabilmente, ma abbozza anche il miraggio di una “grande bellezza”. La giovinezza caratterizzata dal mesto suono di un passato forse mai vissuto e solamente vagheggiato, ma che dietro di sé lascia una scia di nostalgico incanto.
Clara Letizia Riccio