Negli ultimi anni, soprattutto con l’avvento del nuovo millennio, il calcio è cambiato sotto tantissimi aspetti. Se vent’anni fa si parlava ancora di calciatori, oggi si parla di atleti. Se vent’anni fa il catenaccio all’italiana era una sorta di credo, oggi va di moda il tiki taka stile Barcellona. Vent’anni fa iniziavano a diffondersi le prime pay tv, mentre oggi abbiamo tutti i mezzi per fare vere e proprie abbuffate di calcio un tempo inimmaginabili. Solo una questione, la più negativa, ci tiene ancorati al passato: la violenza negli stadi. Dopo trent’anni esatti dalla strage dell’Heysel, il mondo del calcio non è ancora riuscito a liberarsi di questo enorme fardello che rischia di trasformare il gioco più popolare del mondo in una sanguinosa guerra senza senso. Pur essendo solo a maggio, il 2015 ha tutte le carte in regola per essere ricordato come uno degli anni più violenti nella storia del calcio.
L’Egitto è, tristemente, la nazione “emblema” di questo periodo nero. A partire dalla rivoluzione del 2011, con la quale il popolo egiziano chiese ed ottenne a caro prezzo le dimissioni del presidente Hosni Mubarak, il Paese ha vissuto e continua a vivere momenti difficilissimi. Un anno dopo i tumulti, precisamente nel mese di febbraio del 2012, avvenne la più grande tragedia nella storia del calcio egiziano.
A Port Said, l’Al Masry ospita l’Al Ahly: i padroni di casa vincono per 3-1, ma ciò non impedisce ai tifosi di invadere il campo a caccia degli ospiti. Lo scontro tra le tifoserie ebbe un esito terrificante: 74 morti, più di mille feriti. Le forze di sicurezza, secondo molte testimonianze, non fecero nulla per impedire quel genocidio sportivo. In Egitto, ancora oggi si parla di strage premeditata, organizzata dai sostenitori dell’ex presidente Mubarak per vendicarsi delle rivolte di un anno prima. Dopo quei tragici avvenimenti, le partite si continuarono a disputare a porte chiuse. L’apertura è avvenuta solo nello gennaio scorso, ma, dopo appena un mese, la storia si ripete. Si gioca Zamalek – Enppi: gli ultras dello Zamalek, i “White Knights”, sono circa diecimila, i biglietti in vendita solo cinquemila. Nel pomeriggio parte lo scontro tra gli ultras e le forze dell’ordine, giunge notizia delle prime uccisioni. La sera il bilancio dei morti sale a 25, con una ventina di feriti. Ancora oggi, lo Stato egiziano non ha fatto assolutamente nulla per evitare che avvenimenti del genere si ripetano.
Anche in Grecia, l’instabilità politica e sociale causata dalla crisi economica degli ultimi anni ha generato sconforto tra il popolo. Il calcio, come spesso accade, si è rivelata la valvola di sfogo prediletta per esternare la propria frustrazione. A febbraio il campionato fu sospeso in seguito agli scontri, terminati fortunatamente senza vittime, avvenuti prima e dopo il derby di Atene tra Panathinaikos e Olympiacos. Il campionato ha ripreso a marzo, a porte chiuse. Contrariamente al governo egiziano, quello greco sembra abbia agito concretamente per combattere la violenza negli stadi. Pochi giorni fa, infatti, il governo ha approvato la legge sullo sport proposta da Alexis Tsipras e dal Ministro dello Sport Kontonis. Tuttavia, in Grecia si parla di una finta rivoluzione e la questione sembra tutt’altro che risolta.
Non se la passano meglio dall’altra parte del Mar Egeo, in Turchia. È di ieri la notizia che l’ex Inter e attuale capitano del Fenerbahçe Emre Belozoglu è stato aggredito da alcuni tifosi del Besiktas mentre era in viaggio su un traghetto per recarsi ad Akhisar. Gli aggressori avevano circondato e tentato di aggredire il giocatore, fino a quando non è intervenuto Orhan Ak, difensore del Basakesirspor, che ha estratto dalla tasca una pistola per impaurire gli ultras inferociti. La Turchia non è nuova a questi episodi: il 4 aprile scorso alcuni delinquenti assaltarono il pullman del Fenerbahçe a Trebisonda, sparando tre proiettili con fucili a pompa. Secondo gli uomini della polizia turca, l’obiettivo dei malviventi era quello di colpire l’autista in modo da far sbandare il pullman, che trasportava quaranta persone tra giocatori e staff. In effetti, l’autista rimase ferito alla testa, ma il piano non andò a segno. Conseguentemente a quei fatti, il campionato fu sospeso per una settimana. Ma, visto i fatti di ieri, non pare sia cambiato qualcosa.
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Stanotte, in Argentina, un altro avvenimento a dir poco vergognoso. L’ottavo di finale di Copa Libertadores tra Boca Juniors e River Plate è stato sospeso dopo 45 minuti a causa di un vero e proprio agguato di alcuni “tifosi” ospiti ai danni dei giocatori del River. Dopo essere riusciti a rompere le recinzioni, il gruppo di delinquenti ha gettato nel tunnel di accesso al campo un ordigno contenente spray orticante, colpendo alcuni giocatori millonarios (Ponzio, Vangioni, Kranevitter e Funes Mori hanno riportato ustioni di primo grado). Dopo un’ora, la decisione dell’arbitro di sospendere il Superclasico. Ciononostante, i tifosi del Boca hanno continuato a tifare e hanno applaudito i loro beniamini all’uscita dal campo.
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Marco Puca