Come ogni anno, il mese di settembre segna il ritorno tra i banchi di scuola per gli studenti italiani. Quasi 9 milioni di ragazzi in tutto il Paese rientreranno nelle classi durante la prossima settimana e ad accoglierli troveranno delle novità che riguarderanno i ragazzi della scuola primaria e della secondaria di I grado.
Da quest’anno infatti entreranno in vigore le modifiche previste dalla riforma della “Buona Scuola” per questi due livelli di istruzione (per la secondaria di II grado bisognerà aspettare il prossimo anno), e a far discutere è soprattutto l’abolizione della bocciatura. Sarà infatti possibile bocciare solo in caso di gravi infrazioni comportamentali, eccessivo numero di assenze o comunque in casi molto particolari e sempre più rari.

Il dibattito sulla bocciatura rientra in un discorso più ampio sulle problematiche dell’istruzione italiana, che non possono essere risolte da questo singolo provvedimento.

Certo, bocciare non può che avere un effetto deleterio su un bambino che non ha ancora la maturità necessaria per trarre dalla bocciatura una motivazione o una presa di coscienza che lo aiuti a riscattarsi. Specialmente in contesti familiari difficili, il bambino tende a sentirsi in colpa e umiliato, con il rischio che decida di lasciare la scuola e vada ad aggravare quel fenomeno sociale chiamato dispersione scolastica”.

Con questo termine si intende l’assenza o l’abbandono da parte dei minori della scuola dell’obbligo, e l’Italia è tra le nazioni europee che più soffrono di questo fenomeno. Con una percentuale di dispersione scolastica del 14.7% (dati 2017), l’Italia si piazza davanti solo a Romania, Spagna e Malta, e ben lontana dall’obiettivo UE per il 2020 del 10%. In particolare, da questo dato emergono delle evidenti differenze in termini di sesso (la percentuale per le donne è del 12% mentre per gli uomini del 16%) e di area geografica (al nord, e in particolare in Veneto si arriva all’8%, mentre al sud si toccano picchi del 24%, specialmente in Sicilia e Sardegna). In difficoltà anche le aree di periferia rispetto a quelle metropolitane, a confermare che spesso la scelta di abbandonare la scuola deriva da una situazione economica di povertà che obbliga i ragazzi ad abbandonare gli studi in favore di scelte più redditizie economicamente nell’immediato.

Ma la dispersione scolastica è svantaggiosa anche per il sistema dell’istruzione nel complesso: secondo l’OCSE ogni bocciatura costa in media 10/15 mila dollari all’anno e contribuisce ad ingolfare e a far aumentare il numero di studenti in ogni classe, il che abbassa la qualità della didattica. Non a caso nei Paesi scandinavi, o anche in Gran Bretagna, la promozione è automatica fino ai 16 anni, e per larghi tratti della prima istruzione non esistono voti (o non hanno grande rilevanza).

Bisogna, però, per forza di cose fare dei distinguo: tra i Paesi europei che investono di più nell’istruzione in percentuale rispetto al PIL (dati 2015) ci sono proprio Danimarca (7%), Svezia (6.5%) e Finlandia (6.2%), mentre Norvegia e Regno Unito sono ferme intorno al 5% che supera comunque la media UE (4.9%). E l’Italia? Anche qui tra i fanalini di coda: il 4% del nostro PIL viene investito nell’istruzione, peggio di noi solo Irlanda e Romania. Carenza di investimenti che si ripercuote sui risultati scolastici e quindi sulla povertà educativa: il 23% degli studenti non possiede le competenze minime in matematica, mentre il 60% non partecipa ad alcuna attività ricreativa, culturale o sportiva. Inoltre, l’Italia è penultima per percentuale di laureati tra i Paesi UE (15.7%, mentre è ultima se si considera la fascia d’età 25-54 anni), sotto la media europea per numero di diplomati (42.7% contro una media del 46.2%) e quarta per percentuale di popolazione che possiede unicamente un diploma “basso” (primaria o secondaria di I grado, 36.2%).

Il confronto poi con i migliori sistemi scolastici d’Europa è impietoso. In Finlandia dal 2013 è in atto un processo che porterà ad una nuova didattica, in cui le materie tradizionali saranno sostituite da una didattica interdisciplinare e ad alta tecnologia. Proporre una cosa del genere in Italia assumerebbe i contorni del fantascientifico. Non a caso la Finlandia è al quarto posto nella classifica mondiale stilata dall’Economist dei migliori sistemi scolastici del mondo, prima tra le europee. Nella Top 10 anche Regno Unito, Olanda, Irlanda e Polonia, mentre l’Italia si piazza solo 25esima.

Il quadro quindi risulta piuttosto critico. Di certo, volendo prendere a modello i migliori sistemi scolastici d’Europa, l’abolizione della bocciatura sembra un provvedimento tutto sommato sensato, pur con qualche perplessità da verificare nella pratica.

Ma eliminare la bocciatura resta inutile se non lo si accompagna con una riforma strutturale del sistema d’istruzione italiano, che metta al centro del problema una riorganizzazione della didattica.

Tra la carenza di investimenti, una preparazione non ottimale e una scarsa capacità di portare i ragazzi fino al termine del loro percorso scolastico, c’è il rischio concreto che la “Buona Scuola” si riveli un’occasione persa per applicare cambiamenti veramente radicali, che avvicinino l’Italia ai migliori sistemi d’istruzione d’Europa e del mondo.

Simone Martuscelli

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