Nel Cinquecento iniziò il processo di formazione dello Stato moderno, principalmente in Francia, Inghilterra e Spagna: esso era uno stato di grandi dimensioni, dotato di un apparato burocratico e di un esercito permanente. Tale sviluppo non avvenne però per via pacifica, ma per mezzo di numerosi conflitti sia interni, tra sovrano e nobiltà, sia internazionali. In questo contesto storico molti autori furono portati ad interrogarsi sulla legittimità delle azioni politiche, ma non tutti utilizzando lo stesso metodo.
Pensatori come Machiavelli e Bodin basarono le loro riflessioni sul confronto con gli eventi del passato; i giusnaturalisti [1] posero alla base dello stato i diritti naturali dell’uomo; Tommaso Moro paragonò la realtà ad un mondo ideale da lui “costruito”.
Thomas More nacque nel 1478 a Londra. Egli fu avvocato e cancelliere del re d’Inghilterra Enrico VIII. Si dimise a causa della rottura tra il re e la Chiesa di Roma, rifiutando di disconoscere il papa come autorità spirituale, motivo per cui fu giustiziato nel 1535.
Egli creò, sulla base di osservazioni della società in cui viveva, una società tutta nuova, inaugurando il genere dell’Utopia. Il termine deriva dalle parole greche ou e tòpos e significa “nessun luogo”. Le utopie, infatti, ripensano la società nel suo complesso, facendo una critica della realtà presente e proponendo norme di difficile realizzazione.
Tommaso Moro individuò la degenerazione della società del suo tempo nella proprietà privata: “Mi sembra che dovunque vige la proprietà privata, dove misura di tutte le cose è la pecunia, sia alquanto difficile che mai si riesca ad attuare un regime politico basato sulla giustizia o sulla prosperità”.
Era infatti avvenuta in quel periodo la chiusura degli open field, campi che tutti erano liberi di sfruttare, riducendo numerosi contadini alla miseria. L’autore chiamò il suo “mondo ideale” proprio Utopia.
In Utopia, in primo luogo, non esiste la proprietà privata, ma tutti i beni vengono portati in magazzini da cui ognuno è libero di prendere ciò di cui ha bisogno; Utopia è tollerante, purché si creda nell’esistenza di un essere supremo e nell’immortalità dell’anima. Sono vietati l’intolleranza religiosa e l’ateismo; Utopia non partecipa alle guerre se non per difendersi o difendere un alleato; lo stato garantisce l’assistenza agli ammalati e pasti a tutti..
Nel primo libro dell’Opera l’autore si rende protagonista di una forte critica alla società inglese sfruttando la forma dialogica. Il dialogo è tra l’autore e un portoghese conosciuto ad Anversa, Raffaele Itlodeo [2], che racconta di aver vissuto cinque anni in Utopia. Qui l’autore prende di mira dei comportamenti di varie classi, come l’arroganza dei nobili, l’immobilità dei ceti inferiori, l’ozio dei monaci, etc.
Il secondo libro ha invece l’aspetto di un romanzo-saggio e in esso si descrivono i costumi degli abitanti di Utopia.
Questo genere è stato impiegato in chiave moderna da Silvano Agosti[3] (1938-vivente) nel suo libro “Lettere dalla Kirghisia”. Anche in questo caso, infatti, l’autore crea uno stato ideale, basandosi però sui problemi della società attuale, del nostro ventunesimo secolo. In Kirghisia, in cui Agosti immagina di essere giunto a causa di uno scalo indesiderato del suo aereo, “la serenità permanente non è un’utopia, ma un bene reale e comune”[4]. In questo luogo non si lavora più di tre ore al giorno poiché “Questo meccanismo delle otto ore di lavoro ogni giorno, produce da sempre (..) la sensazione precisa di perdere per sempre l’occasione della vita”[5]; i bambini non vanno a scuola, ma giocano tutto il giorno nei parchi, frequentando quando vogliono varie “case”: “Casa della filosofia”, “Casa della geografia”, “Casa degli animali”, etc., sperimentando il piacere dell’imparare che “è un piacere raro, mentre studiare è spesso fonte di oppressioni, inquietudini e malattie”[6]; chi vuole fare l’amore porta un fiore azzurro, in modo da non generare imbarazzi e incomprensioni; la politica è una professione fatta per volontariato che promette lo stesso stipendio concesso a tutti gli altri cittadini.
Da questo esempio in cui un mondo ideale è costruito sulla base dei problemi della società moderna, possiamo renderci conto di quanto irrealizzabili siano le norme proposte in scritti di genere utopico. Essi non propongono infatti riforme, ma puntano a mostrare agli uomini alcune assurdità della società in cui vivono, che non notano per pura abitudine.
Le utopie sono solo dei “modelli” ai quali ispirarsi, le cui norme proposte, magari, creando le condizioni giuste, un giorno diventeranno realtà.
Silvano Agosti scrive nel suo libro: “Riflettete solo sul fatto che gran parte di ciò che vi circonda e appartiene alla vostra vita, un tempo neppure tanto lontano veniva considerato un’utopia”[7].
Chiara Torrente
[1] Dal latino ius naturale, «diritto di natura».
[2] Itlodeo deriva dal termine greco hytlos, chiacchierone.
[3] Regista, sceneggiatore, produttore cinematografico, montatore, direttore della fotografia, scrittore e poeta italiano.
[4]Silvano Agosti, Lettere dalla Kirghisia, Prima lettera.
[5]Silvano Agosti, ibidem, ivi.
[6] Silvano Agosti, ibidem, Seconda lettera.
[7] Silvano Agosti, ibidem, Quinta lettera.