Roma, 16 luglio. Non si danno per vinti i quattro operai licenziati dallo stabilimento Hitachi di Via Argine, quartiere Ponticelli di Napoli. Oggi, insieme alle loro mogli, si sono recati in Piazza San Pietro, in occasione del consueto Angelus domenicale del Papa, per rivolgere un appello al Pontefice nel tentativo di sfondare il muro del silenzio in cui i grandi media hanno deciso di relegare la loro vertenza. Il colosso industriale che produce componenti per treni, nonostante i gravi problemi familiari dei lavoratori licenziati e senza che vi fossero crisi aziendali all’orizzonte, ha deciso di continuare imperterrito per la sua strada, forse pensando che le gravi difficoltà familiari e di salute degli operai coinvolti in questa vicenda li distogliessero dal rivendicare con forza e dignità il loro diritto a non essere considerati degli scarti umani del mondo della produzione.

Uno degli operai della vertenza Hitachi, Aniello De Lucia, racconta la sua storia in una lettera indirizzata al Papa, con la speranza che la stessa arrivi al Pontefice. In un periodo storico in cui il divario di classe aumenta in maniera vertiginosa e in cui il diritto del lavoro viene piegato totalmente alla bulimia di profitto dei vertici aziendali, la politica partitica e la linea dei sindacati confederali non riesce (o non vuole?) fornire nessuna risposta concreta ai bisogni dei lavoratori, sempre più precari e sempre più soli dinanzi alle istanze del capitale. È paradossale che l’interlocutore diventi il Papa, forse l’unico rappresentante istituzionale di grande rilievo a mostrare sensibilità verso il dramma di uomini e donne messi ai margini dalla società del profitto, con la speranza che un suo ipotetico intervento riesca a risultare decisivo.

Qui di seguito pubblichiamo integralmente la lettera scritta da Aniello De Lucia e firmata anche dagli altri operai coinvolti nella vertenza Hitachi:

« Mi chiamo Aniello De Lucia, ho lavorato per 10 anni presso il reparto logistica della società Hitachi di Via Argine a Napoli. Una multinazionale che fa pezzi per i treni e solo a Napoli occupa in totale 1800 persone.

Sono stato licenziato insieme a 3 miei colleghi, Alfredo, Massimo e Vincenzo, perché dovevano sostituirci, come sta succedendo, con giovani operai, assunti con contratti precari, pagati meno e licenziabili in qualsiasi momento.

Ognuno di noi ha vari problemi personali e familiari, ma abbiamo sempre garantito la nostra prestazione lavorativa, col massimo impegno e professionalità, alcuni di noi con più di 20 anni di anzianità lavorativa.

Io sono invalido civile e ho una figlia nata da appena un mese con un tumore al cervello. Come afferma Sua Santità sono una vittima della “cultura dello scarto”.

L’azienda per un meschino calcolo economico ci licenzia, dimostrando un’assoluta insensibilità rispetto ai nostri problemi.

Sono stato addirittura convocato per un incontro, a causa del quale sono stato costretto a tornare a Napoli lasciando mia figlia gravissima al Gaslini di Genova, che poi è stato rinviato senza motivo.

Mi rivolgo a Sua Santità che ha più volte dimostrato enorme attenzione al mondo del lavoro e alle condizioni dei lavoratori, affinché aiuti me e i miei colleghi a rafforzare questa denuncia pubblica contro chi antepone cinicamente i profitti alla dignità della persona.

Aniello De Lucia, licenziato Hitachi Napoli.

In solidarietà: Alfredo Malfi, Massimo Olivieri, Vincenzo Borrelli».

Mario Sica

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