Sin dai suoi albori, la fotografia è entrata nella vita dell’uomo come pratica sociale di registrazione e preservazione della realtà. Accolta come scoperta scientifico-tecnologica, e solo successivamente divenuta arte, la fotografia ha sempre svolto un cruciale ruolo narrativo, spesso raccontando ai posteri i grandi avvenimenti che hanno fatto la storia dell’ultimo secolo e mezzo.
In Australia, una foto in particolare, scattata il 16 agosto del 1975, è vista e riconosciuta come una delle testimonianze più iconiche della storia nazionale. A scattarla è un ragazzo di trent’anni, nato in una località remota nel nord-ovest del Nuovo Galles del Sud, il quale, dall’inizio degli anni ’60, lavora come fotoreporter presso il Sydney Morning Herald.

Il ragazzo si chiama Mervyn Bishop, e diventerà con gli anni uno dei più importanti fotografi documentaristi del suo paese; Mervyn è, inoltre, il primo australiano Aborigeno ad essere assunto da un quotidiano di un’area metropolitana in Australia.
L’appunto non è casuale, perché questa storia è una storia Aborigena: nella sua foto, Bishop sta immortalando quello che è, probabilmente, l’istante che segnerà per sempre la storia delle rivendicazioni indigene sulle terre occupate dalla Corona britannica dalla fine del Settecento.

La foto ritrae due uomini, alle cui spalle un gruppo indistinto di persone si muove su uno sfondo fatto di cielo azzurro e terra rossa: siamo a Wave Hill, una cittadina polverosa situata in mezzo al deserto del Territorio del Nord che, ad oggi, conta poco più di cinquecento anime. L’uomo sulla destra è un alto e corpulento bianco venuto dal sud-est. È un giurista di formazione, sia universitaria che familiare, essendo laureato in legge all’Università di Sydney e figlio di un avvocato attivamente impegnato nella tutela dei diritti umani. Il suo primo nome è Edward, ma la storia lo ricorda come Gough; di cognome fa Whitlam e, nell’agosto del ’75, è da circa due anni e mezzo il ventunesimo Primo Ministro del Commonwealth dell’Australia.
Whitlam sta versando una manciata di terra e polvere nelle mani del principale protagonista della storia. È un Gurindji, figlio di un popolo che da millenni abita oltre tremila chilometri quadrati di quella porzione di Australia settentrionale. Si sa relativamente poco di lui: pare fosse nato alla fine degli anni ’10 e che, in gioventù, fosse stato chiamato Tommy dai suoi certamente poco cortesi datori di lavoro; ma suo padre, che di cognome faceva Lingiari, l’aveva chiamato come lui: Vincent.
Ciò che Vincent Lingiari figlio sta ricevendo dalle mani del Primo Ministro è la terra che, sin dall’imposizione della legge Britannica, era stata sequestrata al suo popolo e che ora formalmente torna ad essere proprietà degli antichi e tradizionali custodi.

«Voglio prometterti che questo atto di restituzione che compiamo oggi non resterà isolato. La tua battaglia non è stata condotta solo per voi stessi e noi siamo determinati nel far sì che, ovunque, gli Aborigeni australiani ne beneficino. Io voglio restituirti, formalmente nella legge Aborigena ed Australiana, la proprietà della terra dei tuoi padri.»
Gough Whitlam, 16 agosto 1975.

Questo atto iconico porta alla stesura del cosiddetto Aboriginal Land Rights Act, già abbozzato durante gli ultimi mesi del mandato di Whitlam e definitivamente ratificato nel 1976 dal governo di Malcolm Fraser. Passato alla storia come il primo concreto atto di legislazione riguardante la concessione di diritti Aborigeni sul suolo australiano, il provvedimento funge da apripista nell’organizzazione e conseguente politicizzazione dei movimenti Aborigeni per i diritti territoriali che, dal Territorio del Nord, si sarebbero poi espansi in tutto il paese.

La storia di questo atto di giustizia, e della foto che lo incornicia, ha però origine dieci anni prima. Nel 1966, Vincent Lingiari lavora come stockman presso Wave Hill, che all’epoca è solo una cattle station, la versione australiana di una enorme fattoria dedita all’allevamento bovino. Wave Hill ricopre oltre novemila chilometri quadrati e, nel 1914, il governo australiano l’ha affittata al Vestey Group, un conglomerato di imprese a carattere privato che si occupa di prodotti alimentari, agricoltura e allevamento di bestiame.
Vincent ha ereditato il mestiere di entrambi i suoi genitori, ovvero tenere a bada i bovini, ma lui, così come le altre centinaia di Aborigeni impiegati dai Vestey, è regolarmente vessato per motivi razziali ed estremamente sottopagato. Nel 1954, il governo ha aumentato l’affitto di quelle terre da 10 a 50 centesimi annui per miglio quadrato. I Vestey cominciano quindi a pagare gli stockmen Aborigeni meno di un quarto del minimo salariale di un lavoratore non-indigeno e spesso a sostituire al salario razioni di carne, pane, farina e altri generi alimentari.

La narrazione si fa densa, c’è quindi bisogno di qualcuno che metta tutto assieme.
All’inizio degli anni ’90, a molta distanza dalle cronache, altri due uomini entrano nella storia. Proprio come Vincent e Whitlam, sono un Aborigeno del nord ed un bianco del sud, i quali una notte si siedono attorno ad un fuoco e decidono che, con quattro accordi e pochi versi, avrebbero raccontato al mondo la battaglia che il piccolo stockman indigeno condusse contro il gigante Lord Vestey. Il primo dei due cantori di questa vicenda è Kev Carmody, che, al pari di Vincent, è cresciuto in una cattle station; il secondo è Paul Kelly, cantautore di fama internazionale che, analogamente a Whitlam, è nato da padre avvocato. Il risultato del loro connubio artistico è From Little Things Big Things Grow, probabilmente una delle più belle ballate di protesta della storia della musica.

«Raccolsero i loro fagotti e cominciarono a camminare; arrivati a Wattie Creek si sedettero in terra. Potrà non sembrare molto, ma se ne cominciò a parlare, prima presso la proprietà e poi in città.»
(Paul Kelly & Kev Carmody, From Little Things Big Things Grow)

Un giorno di agosto del ’66, radunati 200 dei lavoratori Aborigeni di Wave Hill, Vincent decide di condurre il suo popolo lontano dall’oppressione. Una volta oltrepassato il Victoria River “come le antiche tribù di Israele oltrepassarono il Mar Rosso” (per usare un parallelismo biblico dello scrittore Frank Hardy), i lavoratori raggiungono il sacro sito di Daguragu, chiamato Wattie Creek dai bianchi, dando inizio al più lungo sciopero della storia australiana, ricordato come il Wave Hill Walk-Off e durato ben nove anni.

Come scritto da Kelly e Carmody, della vicenda dei Gurindji si comincia a parlare in tutto il paese, e Vincent Lingiari decide di salire su un aeroplano e di lasciare, per la prima volta, la sua terra natia al fine di viaggiare e far conoscere la storia della sua gente a tutta l’Australia. Quegli anni sono estremamente fertili: il mondo è scosso da ondate di proteste operaie e studentesche, il ’68 inaugura una stagione feconda per i movimenti per i diritti civili, la creatività si politicizza e la collettivizzazione delle nuove generazioni comincia a rappresentare una seria minaccia per i conservatorismi di tutto il mondo. Per quanto lontana da tutto, l’Australia non è esente da questa ventata di cambiamento: nel 1967 il referendum sulla concessione dei diritti costituzionali agli Aborigeni passa con il 90% dei consensi (prima di allora essi non erano considerati cittadini bensì parte di flora e fauna), durante l’Australia Day del 1972 viene istituita, a tutela dei diritti civili indigeni, l’Aboriginal Tent Ambassy, un’assemblea semi-permanente di fronte all’ormai vecchio Parlamento a Canberra, e nel 1973 l’esecutivo Whitlam entra in funzione fondando l’Aboriginal Land Rights Commission, un organo di inchiesta sul riconoscimento dei diritti territoriali Aborigeni. Nel 1971, inoltre, un altro musicista di questa storia, Ted Egan, registra insieme a Vincent il singolo Gurindji Blues, introdotto dalle parole dello stesso Lingiari:

«Mi chiamo Vincent Lingiari. Vengo da Daguragu, Wattie Creek Station. Sono venuto qui per raccontare al Parlamento dei diritti sulla terra. Io possiedo storie che vengono da mio nonno, che dicono che la terra apparteneva a me, uomo Aborigeno, prima che vi arrivassero i cavalli e il bestiame. Io possiedo quella storia nella mia mente.»

Vincent parla poco, e in un inglese stentato, ma riesce a trasmettere la sua storia alla società civile e alle classi politiche, e ad accrescere quindi una generale consapevolezza sui diritti nativi.

Trascorsero gli anni, fino a che «un alto straniero non apparve in quella terra, con avvocati e grandi cerimonie, e attraverso le dita di Vincent, versò una manciata di sabbia».
Così scrisse l’altra coppia di uomini di questa storia, per poi concludere ribadendo che «la storia di Vincent Lingiari è la storia di qualcosa di più, di come il potere e il privilegio non possano rimuovere un popolo che sa per cosa resiste e che resiste nel giusto».

Cristiano Capuano

Quotidiano indipendente online di ispirazione ambientalista, femminista, non-violenta, antirazzista e antifascista.

2 Commenti

  1. scrivi anche cosa gli hanno fatto al governo Whitlam,con il sacked organizzato dalla regina Elizhabet. Altrimenti sembra che è andato tutto in discesa, cosa non affatto vera.

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