Il Teatro San Carlo inaugura sabato sera la stagione sinfonica 2014/2015, che tutti sperano, questa volta, apra con migliori auspici. È ancora infatti viva, nel mondo musicale napoletano, la memoria della cancellazione dal cartellone dell’avanguardistico concerto che, un anno fa, avrebbe dovuto aprire, in onore di Gesualdo da Venosa, la rassegna di attività del Massimo napoletano.
Fu quella cancellazione presagio di un periodo che si sarebbe rivelato molto difficile per il Teatro, complici il commissariamento, che ciclicamente si abbatte sulla fondazione (l’ultima si era conclusa nel 2011) e il più recente addio del direttore musicale Nicola Luisotti. Il Maestro abbandona infatti il suo incarico a causa degli impegni che lo vedono sui palcoscenici di tutto il mondo e che gli impedirebbero di dedicare ancora altro tempo al San Carlo e a Napoli, se non fino al Trovatore inaugurazione della stagione d’Opera a dicembre.
Emblematicamente concomitante nel tempo a quello, ben più doloroso, lasciato vuoto da Riccardo Muti all’Opera di Roma, il podio vacante di direttore musicale del San Carlo fa il pari con la fine della collaborazione con Alessandra Panzavolta, a capo del corpo di Ballo dal 2010, e con una chiacchierata e imminente emigrazione del Direttore del Coro Salvatore Caputo.
Il San Carlo ha da cercare così una nuova strada da percorrere, in questo rivolgimento dei quadri artistici e amministrativi, e lo fa con un rassicurante ritorno di Gabriele Ferro, già direttore musicale dal 1999 al 2004. Il musicista siculo-romano, che avrebbe dovuto dirigere anche lo sfortunato evento inaugurale di un anno fa, quest’anno ripropone in programma una prima assoluta, in linea con il suo atteggiamento di ricerca verso repertorî poco rodati – eppure spesso già storici – presso il pubblico napoletano: fu memorabile la scelta, sotto la sua egida, di aprire la stagione del 2001 – nel bicentenario della nascita di Vincenzo Bellini e del centenario della morte di Giuseppe Verdi! –, con due monumenti dell’Opera del Novecento storico: il dittico stravinskiano Oedipus Rex – Perséphone.
Ancora una volta sarà proprio Igor Stravinskij a fare da contraltare ai mai eseguiti Cieli Notturni, Sinfonia-diario per orchestra, del siciliano Marco Betta, attualmente docente di punta del conservatorio di Palermo.
Ci si aspetta per questa serata qualcosa di diverso da quello che sarebbe dovuto accadere l’anno scorso, in cui a farla da padrone sarebbero stati esponenti del più ortodosso avanguardismo italiano contemporaneo. Sotto la direzione del conterraneo di ascendenza Gabriele Ferro, ci aspettiamo – al netto di (ben accette) sorprese – una musica, quella di Marco Betta, fluida e attuale, che si rivolge alle atmosfere, così fortunate nel mondo cinematografico e di crescente successo presso il vasto pubblico, provenienti dal minimalismo americano ma personalizzate in una chiave melodica più squisitamente sud-italiana, in un contesto armonico decisamente neotonale.
Se non sappiamo del tutto – si spera! – cosa aspettarci dalla sezione centrale del programma della serata, è sicuro il successo che riscuoteranno due pagine assai significative del più che mai eterogeneo panorama musicale di Stravinskij: francese ma di sangue russo, monumento assoluto e irrinunciabile del secolo scorso, lo storico autore soddisferà, con le musiche di Pulcinella (1919-1920) e, in chiusura, della suite dall’Oiseau de feu (1910), anche i palati di ascoltatori profani.
La fiaba russa dell’Uccello di Fuoco, sotto la penna di Stravinskij, fu a Parigi cavallo di battaglia dei Balletti russi di Sergej Diaghilev. In essa il giovane compositore risente, in un modo non ancora condotto a definitiva maturità, delle suggestioni della sua patria, che sarebbero state progressivamente destrutturate e rese stravinskiane, di lì a poco, in Petrushka (1911) e ne le Sacre du Printemps (1913), tappa fondamentale nella storia delle avanguardie europee e culmine della ricerca del compositore in quel senso.
Il Ballet avec chant Pulchinella (Musique d’après Pergolesi) inaugura invece il periodo neoclassico dell’autore, tanto osteggiato da chi aveva salutato in Stravinskij un patrono dell’avanguardia e cui tutti avrebbero contrapposto, secondo una dicotomia abusatissima, la ricerca di Arnold Schoenberg. L’attingere all’immenso pozzo classico si rivela essere un’operazione di revisione radicale di ogni suo aspetto e porta il segno di una consapevolezza storica della musica forse senza precedenti.
Così nel Balletto la musica di un Pergolesi scoperto dopo perlopiù apocrifo si fa soggetta ai tratti inconfondibili dell’arte stravinskiana, poi rozzamente confluiti nello stravinskismo tipico di tanta musica di metà Novecento, e ne fa uno degli esempi più efficaci e noti al pubblico internazionale.
Info e prevendite qui. Non ci resta che fare i migliori auguri al San Carlo e dare appuntamento a teatro, questo week-end, per chi ama la bella musica – e non teme i costi tristemente alti!
Antonio Somma