«Oje vita, oje vita mia
Oje core ‘e chistu core
Si stata ‘o primmo ammore
E ‘o primmo e ll’ùrdemo sarraje pe’ me»
Tutti al mondo conoscono la celeberrima canzone che negli anni si è fatta simbolo dell’enfasi dell’amore del popolo partenopeo per la propria città e per la propria cultura. ‘O surdato ‘nnammurato è l’inno dei napoletani, la colonna sonora degli stadi, delle rappresentazioni dedicate a Napoli, della sua gioia della festa, dell’esplosione della vitalità.
Eppure le sue origini sono lontane, sia nel tempo che nell’uso: all’epoca della sua apparizione, infatti, l’obiettivo della sua melodia, la percezione e l’impatto che ne conseguì erano completamente distanti da quelli acquisiti nel corso degli anni.
‘O surdato ‘nnammurato: la storia d’amore in una canzone
Siamo nel 1914, allo scoppio della prima guerra mondiale: l’euforia delle radiose giornate di Maggio si spense nel giro dei primi due mesi. Sin dal suo inizio, la guerra si profilò molto diversa dall’impresa gloriosa dipinta e diffusa dalla propaganda interventista. Nulla di grandioso, nulla di epico: il 24 maggio, l’Italia attraversa il Piave e chiama a raccolta mezzo milione di uomini. Per la maggior parte, si trattava di ragazzini poco più che ventenni, impreparati militarmente e psicologicamente, analfabeti, spaventati. La gioia, il desiderio di gloria, lo spirito aggressivo e nazionalista lasciarono ben presto il posto all’orrore, alla delusione, alla malinconia, alla paura.
Alla fine del 1915, il bilancio era disastroso: l’esercito italiano aveva registrato 235.000 perdite; morti, feriti, ammalati, prigionieri e dispersi. In questo clima di disperazione, nelle trincee fangose, in balia della morte, completamente disarmati, senza elmetti, né scarpe, né divise, nasce ‘O surdato ‘nnammurato. Una canzone piena di vita e d’amore, semplice e spontanea, piena di sentimento opposto alla guerra. E per questo odiata, combattuta, censurata. Nel testo, comunque, nessun riferimento alla guerra, alla sconfitta: e forse è proprio questa la causa del suo rifiuto. La canzone fu ispirata probabilmente dalle parole di nostalgia di un soldato verso la sua amata; la guerra è “soltanto” la causa all’origine della loro separazione.
«Staje luntana da stu core
A te volo cu ‘o penziero
Niente voglio e niente spero
Ca tenerte sempe a fianco a me
Si sicura ‘e chist’ammore
Comm’i só sicuro ‘e te»
Fu Aniello Califano, un giovane rampollo sorrentino di buona famiglia, amante delle donne e della poesia, trasferitosi a Napoli, a stendere i nostri celebri versi: qui, in città non si respirava aria di vittoria, tutt’altro. I giornali esaltavano le imprese belliche delle truppe, ma le notizie che arrivavano dal fronte erano tutt’altro che promettenti. A nessuno più interessava ormai di Trento e Trieste, delle mire espansionistiche dell’Italia: le donne piangevano i mariti, i figli, i fratelli. L’esperienza della guerra aveva deluso tutti: e così, i versi di Califano si diffusero, fino ad arrivare alla casa editrice Bideri, che si commosse e volle tradurli in musica.
«Quanta notte nun te veco
Nun te sento ‘int’a sti bbracce
Nun te vaso chesta faccia
Nun t’astregno forte ‘mbraccio a me?!
Ma, scetánnome ‘a sti suonne
Mme faje chiagnere pe’ te»
Fu Enrico Cannio ad elaborare la melodia, romantica ma avvincente, simile ad una marcia d’amore. Il successo fu incontenibile: tutti, napoletani, veneti, toscani, cantavano ‘O surdato ‘nnammurato. Di tutta risposta, i comandi militari diedero il via alla persecuzione di tutte le canzoni disfattiste che alimentavano il clima già diffuso di insoddisfazione, di malcontento. Le punizioni per chi le intonava divennero via via sempre più dure, fino ad arrivare alla fucilazione. Ciononostante, ‘O surdato ‘nnammurat si diffuse a macchia d’olio tra le trincee, divenendo l’espressione di chi desidera tornare a casa, di chi teme di non poter riabbracciare il proprio amore, di chi promette eterna fedeltà, ma non più allo Stato. Divenne la canzone di chi vuole scappare, amore, vivere, di chi cerca la pace tra la guerra. Anche il fascismo provò a cancellarla, ma invano.
‘O surdato nnammurat non si è mai estinta, da quando è nata fino ad oggi, cantata a squarciagola al San Paolo per omaggiare la nostra Napoli, intonata dolcemente e dedicata al proprio amore: nata come canzone d’amore, conserva intatto, oltre cento anni dopo, il suo potere dolcemente e fortemente comunicativo, cara a chi ama Napoli, a chi ama la vita, a chi ama l’amore.
«Scrive sempe e sta’ cuntenta
Io nun penzo che a te sola
Nu penziero mme cunzola
Ca tu pienze sulamente a me
‘A cchiù bella ‘e tutt”e bbelle
Nun è maje cchiù bella ‘e te!»
Sonia Zeno
Stupenda
Per non dimenticare mai.Brava,grazie.
Complimenti