17 aprile 2015: parte oggi, da Oslo, l’Eurocarovana per i desaparecidos di Ayotzinapa e di tutto il Messico. Comitati studenteschi, collettivi, organizzazioni sindacali, media indipendenti e tanti altri organismi civili messicani intraprendono oggi il tour che attraverserà 13 paesi europei in 33 giorni per denunciare la crisi dei diritti umani che ha investito il Messico negli ultimi tempi.
Sono passati ormai 7 mesi dai tragici fatti di Iguala: la Procuraduría General de la República (PGR) considera ormai il caso archiviato, dopo aver fornito la fallace versione secondo cui tutti gli studenti sarebbero stati uccisi e bruciati in una discarica nei pressi del municipio di Cocula (Guerrero) per mano dei Guerreros Unidos. Nonostante l’equipe di medici forensi argentini abbia identificato solo uno dei corpi dei ragazzi spariti a Iguala quel giorno, il governo messicano nega categoricamente che le cose possano essere andate diversamente dalla versione ufficiale fornita dagli inquirenti della procura.
Far saltare qualche testa è stato tutto ciò che lo stato messicano, nella sua massima insolenza, ha voluto fare per accordare un contentino alle decine e decine di familiari degli studenti della Escuela Normal Rural Raul Isidro Burgos di Ayotzinapa: l’arresto dell’ex sindaco di Iguala José Luis Abarca e di sua moglie, le dimissioni di Jesús Murillo Karam dal vertice della PGR, e, più in generale, l’aver sfruttato la cavillosità del sistema federale per far ricadere le responsabilità sugli interstizi più bassi della piramide istituzionale e politica messicana è stato tutto ciò tramite cui governo di Enrique Peña Nieto si è fatto responsabile della vicenda.
Il movimento civile venutosi a creare in seguito ai fatti del 26 settembre ha, per forza e tenacia, impressionato il mondo intero quasi tanto quanto lo scempio che si è consumato sotto gli occhi e per mano dello stato. Il 26 di ogni mese il Messico è teatro di manifestazioni di protesta, e il gran tour della carovana di familiari e collettivi che ha attraversato il paese nei mesi scorsi ha poi fatto tappa negli Stati Uniti, per approdare infine in Europa.
Dalla Norvegia, il tour (che si può seguire su Twitter tramite l’hashtag #EuroCaravana43) si snoderà attraverso buona parte del vecchio continente, passando per l’Italia (il 28 aprile a Milano e il 29 a Roma), per poi giungere a Londra il 19 maggio.
Far sentire la propria presenza anche al di fuori dei confini significa, per gli attivisti, rendere chiaro al mondo come Ayotzinapa sia divenuta il simbolo della resistenza della società civile messicana. La connivenza tra stato e narcotraffico, la corruzione dilagante negli apparati istituzionali e nelle forze dell’ordine, sono ciò che fa del Messico un paese in guerra civile. La grave sospensione dei diritti umani dei fatti di Iguala, i 27 mila casi di desapariciones forzadas (che riguardano presos politicos, migranti, civili), le circa 100 mila vittime della narcoguerra in poco meno di dieci anni, rappresentano la cruda vetrina di un paese che vive uno dei momenti più delicati della sua storia recente e non solo.
L’Europa è molto più vicina al Messico di quanto sembri: sono numerosissimi i governi europei che mantengono accordi commerciali con il Messico, verso cui canalizzano la produzione di armi e per conto del cui governo prendono in carico l’addestramento di forze speciali di esercito e polizia, ignorando impunemente le clausole sulla tutela dei diritti umani che quegli stessi accordi prevedono.
È richiesta all’Unione Europea l’osservazione internazionale nei confronti di possibili ripetizioni di violazioni di diritti civili perpetrate da organi dello stato messicano, ma le garanzie che i familiari delle vittime e gli attivisti dei comitati per la tutela dei diritti umani richiedono sono rivolte principalmente alle organizzazioni sociali e ai collettivi.
A tal proposito, il giornalista free-lance Fabrizio Lorusso ha riportato, sul suo blog Carmilla, le parole di Omar García, un normalista sopravvissuto alla notte del 26 settembre:
“I nostri interlocutori in Europa in questa occasione sono le organizzazioni sociali, i collettivi, i media liberi, o come si chiamino, la società civile organizzata. Veniamo a ringraziarvi per tutto il vostro sostegno e a insistere sul fatto che è necessario che come comunità e società dal basso continuiamo a organizzarci per trasformare una volta per tutte questo sistema di potere e corruzione fondato sulla spoliazione, il disprezzo, lo sfruttamento e la repressione contro le nostre genti. Dobbiamo farlo insieme, dai nostri luoghi d’origine, coordinati e organizzati, perché così come i potenti hanno globalizzato il saccheggio, noi abbiamo il dovere sacro di globalizzare la resistenza, la degna rabbia e l’allegra ribellione“.
Cristiano Capuano