1Moustafa Jano è un artista siriano originario di Aleppo. Da qualche anno vive a Karlshamn, in Svezia, dove realizza fotografie di grande impatto visivo, con la caratteristica principale di unire in un solo scatto guerra e pace in Siria, il prima e il dopo, la quotidianità e la distruzione, l’indifferenza del mondo esterno e la disperazione di chi ci vive e ci muore.
Tempo fa ha realizzato un progetto fotografico che voleva essere una provocazione al gioco virtuale della caccia ai Pokèmon Go, per scuotere le coscienze della popolazione mondiale attraverso scatti che ritraevano piccoli bambini siriani – vittime di guerra – e il loro appello di essere trovati e salvati; “Sono di Kfarzita, venite a salvarmi!” – “Io sono di Kfarnabbude, salvatemi”.
Così, colpiti dal forte messaggio di sensibilizzazione e denuncia di queste opere fotografiche, la redazione di Libero Pensiero News si è messa in contatto con Moustafa, cercando di scoprire di più sul suo profilo e sulle opere che realizza. Un racconto estremamente toccante quello della sua vita, che ci fa comprendere il dramma di essere sradicati da tutto ciò che si possiede. Terra, affetti, lavoro, vita. E per la speranza di salvarsi si scappa dalla propria terra, dalla morte certa. “Ognuno di noi perde qualcosa“, ci dice. Ma in ognuno di loro la terra natìa resta nel cuore. Come Moustafa, che continua a parlarne.
A seguire l’intervista e la fotogallery con le opere e le didascalie dell’autore.
Muostafa, raccontaci la tua storia.
“Vi parlerò della situazione prima della guerra in Siria. Sono nato ad Aleppo nel 1977, laureato in arte nel 2004 presso l’Università di Damasco. Aleppo era una città come tutte le altre, una città tranquilla. Poi è iniziata la guerra. Proiettili, missili che piombavano sulle case. Ora non c’è più cibo per bambini, persino il latte manca, i prezzi sono esorbitanti. Per due anni ho lasciato la mia città natale volando nel Nord Europa, ma senza aereo. A bordo di un barcone, quelli carichi di sogni e speranze che spesso annegano. Dalla Turchia sono giunto in Grecia ma, a metà viaggio, l’imbarcazione stava per affondare. È stato un viaggio difficile. Una grossa nave greca venne a salvarci, per fortuna”.
Da quanto realizzi questi scatti? Come è iniziato questo progetto di denuncia sociale?
“Ora sono in Svezia, dove attualmente svolgo la mia professione di fotografo. Con queste foto mostro cosa accade in Siria. Sapete, in tanti mi chiedono dove si trovi questo Paese. Non lo sanno. Per questo, ho iniziato a fare foto che illustrano in un solo scatto il prima e dopo la guerra in Siria e, in particolare, ad Aleppo”.
Cosa ti ha ispirato maggiormente? Cosa vuoi trasmettere attraverso le tue fotografie?
“Nessuno vorrebbe lasciare i propri cari, la propria terra, gli affetti. È la guerra che costringe. Per cercare un futuro migliore da dare ai nostri figli, scappiamo. Sapete una cosa? Prima la Siria era un paese pacifico. E vi dirò di più, nessuno voleva o pensava di lasciare il paese. Ora Aleppo è la città più pericolosa del mondo. Quando vedo ciò che accade nella mia terra, uccisioni, uccisioni e uccisioni, spero che i “grandi” come l’America, l’Europa, possano fare qualcosa, che fermino la guerra. In Siria c’è tanta gente che sta soffrendo e vuole la pace. Io voglio far comprendere la situazione estremamente drammatica di quella gente che è la mia gente, per questo realizzo queste immagini“.
Sogni e progetti per il futuro?
“Sapete, ho molti sogni. Il primo è di rivedere i miei tre bambini. Sono molto piccoli. L’altro è che in futuro potrò realizzare immagini che rappresentino solo amore, pace e felicità. Non più uniti alla guerra e alla distruzione“.
Rosaria Ferrara