Solitamente i numeri parlano più di un editoriale, tant’è che su Marek Hamsik potrebbe bastare uno speciale di sole cifre. Quelle statistiche che ad oggi stanno facendo la fortuna dei fantallenatori che hanno scelto Alvin (il voto statistico), e che però restano nascoste in un algoritmo strambo che non s’ha il piacere di vedere. I numeri non sono tutto, obietterà qualcuno – con tutte le ragioni del caso – che forse guarda un po’ al calcio nella maniera più romantica. Eppure ci sono numeri per tutti i gusti, intrecciati e pure difficili da interpretare come percentuali e medie strane che mettono tanta carne a cuocere nelle schede tecniche di ogni calciatore. Roba che seppure vi chiedeste quanto corre e che traiettoria fa un giocatore durante i 90 minuti di una partita, lo sapreste.

Ebbene, malgrado le perizie matematiche che renderebbero un calciatore degno del ruolo che occupa in una squadra, quello dei gol resta sempre il biglietto da visita più appetitoso per chi gioca a pallone.

La notizia è che, in maglia azzurra, Marek Hamsik ha fatto tanti goal quanti ne ha fatti Diego Armando Maradona.

Foto di Danilo Pergamo

Una cosa normale che però a Napoli diventa come a Gerusalemme qualcuno che avesse fatto più miracoli di Gesù. Ancor più probabile (quasi certo) per uno che da dieci anni nella città partenopea viaggia con medie di goal e assist a dir poco spaventose per essere un centrocampista. Un centrocampista votato all’attacco, al gioco verticale e con la rapacità della punta che ruba palloni sporchi negli ultimi 16 metri e trasforma acqua in vino. Spazi ampi e visione di gioco, un calcio efficace e maturo fin dai primi giorni che ha messo piede in Serie A. Non profondamente caratteristico, pochi guizzi squisitamente individuali, tanto che è difficile trovare una qualità in cui eccelle. Diremmo completo, malgrado come aggettivo lo si usi addossare a chi tutti questi gol non ne fa, magari a un centrocampista di cui si voglia parlar bene e tessere le lodi per la solidità che mostra in mezzo al campo. Lo sappiamo, il trascorso di Hamsik a Napoli è degno delle storie d’amore più vere, che accendono il fuoco con gli anni. Di anni insieme ne sono passati, ed è da quando ne aveva diciannove che lo slovacco ha deciso di fermarsi alle pendici del Vesuvio, trainato dalla visionaria operazione di Pierpaolo Marino.

Quasi un regalo, un piccolo sfizio (direbbero a Napoli) che Aurelio De Laurentiis tolse al ”diesse” napoletano, rimasto folgorato dal fisico e dalla capigliatura dell’allora diciassettenne slovacco che sostituiva Omar Milanetto in un Brescia-Albinoleffe di tempi ormai andati. Alla corte di Edy Reja Hamsik si presentava come un calciatore già affermato tra i professionisti, in Serie B col Brescia dopo una gioventù passata tra le serra dello Slovan Bratislava.

Prima partita, parte titolare: primo goal. Un esempio di predizione. I momenti migliori nella gestione Mazzarri e in tandem col Matador Cavani, sotto la guida di chi ha saggiamente gestito la sua posizione in campo. Non un trequartista perché poco avvezzo a giocare spalle alla porta, tira di destro e di sinistro con prepotenza, deve agire in ritmo, prima di ricevere la palla è facile vederlo guardarsi intorno e immaginare lo sviluppo dell’azione. La volontà la sua arma principale, il talento e la meticolosità il suo arsenale.

Marekiaro oggi è una statua, un colosso dalle fondamenta solide che sembra giocare ad alti livelli da sempre. Sfumati i tempi di un ragazzotto che ne mette 16 in una sola partita o che insacca 56 rigori in fila a due portieri come Agliardi e Viviano, oggi ha trovato in Sarri un ennesimo maestro. Sempre titolare pur se con qualche sbavatura in più a livello realizzativo, complici tanti fattori, dall’età al consacrato possesso palla del Napoli degli ultimi tempi.

Un ragazzo che ha impiegato tempo perché i numeri lo consacrassero per quel che è, che ha spostato gli equilibri anno dopo anno e partita dopo partita all’ombra dell’effervescenza e della garra di vari Lavezzi, Cavani e Higuain. Capitano, un ordine di grandezza sopra tutti. Un’applicazione che riguarda tutti noi da vicino. Un talento che al pari di ogni storia simile non ha dimostrato di valere in un’altra città e con un’altra maglia. Alla fine, però, sulle targhe si leggerà anche il suo nome (dopo quello del Diez), nelle memorie di mezza Slovacchia e Napoli ci sarà impresso il numero 17.

Col goal realizzato nel 3-1 al Torino, Marekiaro ha bussato alle porte della storia e ha cominciato a mettersi in fila. I numeri sono importanti, e si sa che a Napoli non saranno mai tutto perché quel che è stato resta impresso nella memoria di tutti. E trent’anni fa il signore in maglia dieci era davvero tutto. Non basteranno quasi quaranta goal in una stagione o ubriacate agli avversari per lasciare il popolo innamorato di un nuovo pupillo. Oggi il Napoli non dipende da nessuno se non da se stesso nella sua totalità. Non più un uomo, un collettivo di cui la piazza aspetta di cantare le lodi come per Diego. Un gruppo, di cui Marek Hamsik ad oggi è il capitano. Detto ciò, chissà. A ogni generazione il suo.

Congratulazioni, Marek.

 

Nicola Puca

 

Fonte immagini: Danilo Pergamo

 

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