Sono passati un paio di mesi dall’ultimo weekend di F1 ad Abu Dhabi, a chiosa di una stagione che sicuramente ha del particolare, ma che è interessante analizzare sotto molti punti di vista, dall’aspetto tecnico per finire a quello umano. Ovvio, in pista ci vanno macchina e pilota, e non c’è niente di più intuitivo nel credere di dover affinare una tra le due cose per alzare l’asticella. A Maranello è tempo di fissare nuovi ma vecchi propositi, e ricercare ancora una volta la chiave in termini di sviluppo che la apparenterebbe finalmente con Mercedes.

Chiaro, premettiamo che stipulare una classifica nuda e cruda di chi ha le migliori prestazioni su un arco temporale così vasto (come quello coperto da un mondiale di F1) è una cosa da prendere con le pinze. Ci sono venti e più gare e ciascuna si disputa in un tracciato diverso, con condizioni diverse e in momenti diversi, per cui la somma delle varianti che collaborano a rendere competitiva una macchina (e pure un pilota) è davvero ingarbugliata. Per gran parte della scorsa stagione, a onor del vero, la rossa è stata per distacco la vettura migliore in gara, docile, a passo corto, e con un carico aerodinamico mai deficitario, che ha fatto la gioia di Vettel fino a Monza.

Un set di caratteristiche, queste, che si è disposti ad affinare nel minimo dettaglio, pur di compensare degli svantaggi chiari in termini di potenza ed efficienza. Non senza dare troppo nell’occhio, tant’è che quest’anno sotto investigazione per presunte (piccole) irregolarità c’è finito proprio il Cavallino. Leggiamo che Ferrari, infatti, aveva trovato il modo, grazie ad un ingegnoso cinematismo, di abbassare l’anteriore della vettura durante la percorrenza delle curve, in modo da incrementare il carico e diminuire il sottosterzo sia nei curvoni veloci e, in particolar modo, nelle curve più strette. Insomma, tutti i regolamenti sono fatti per essere infranti. Ironia della sorte, un anno fa (di questi tempi) l’attuale capo progettista della scuderia Ferrari Simone Resta sfidava la Fia a colpi di e-mail per verificare la regolarità delle sospensioni idrauliche su Red Bull e Mercedes (ne parlammo in un vecchio articolo). E ora, vedete. 

Quel che vogliamo sottolineare è che la necessità di ingegnarsi nel fantasticare nuove soluzioni è figlia della difficoltà che si ha nel mettere a punto migliorie per quelle solite. È sotto l’occhio di tutti – e parlando di corse sembrerebbe anche un po’ ovvio dirlo – che Hamilton va più veloce di Vettel. Roba spicciola, ma brutalmente vera. Un gap di quasi 50 CV che non è necessario per far bene (dipende dai circuiti), ma che al sabato ci ha fatto restare parecchio male. Per battere le Mercedes serve trovare cavalli in più. E non è un caso che quando s’è fatta necessità di trovarne di aggiuntivi sono arrivati i disastri asiatici in Malesia e Giappone.

Per il 2018 – leggiamo ancora su Autosprint – sono in arrivo modifiche ed interventi che dovrebbero risolvere, prima di tutto i guai di affidabilità patiti dalla parte di sovralimentazione, e poi incrementare e massimizzare l’efficienza della power unit grazie ad aggiornamenti alla turbina e al software di gestione del sistema di recupero energetico.

Sarà tedioso continuare a ripeterlo, ma i guai della Ferrari nel 2017 sono passati tutti (o quasi) per il trittico asiatico di settembre e ottobre, ognuno per motivi diversi ma che concordano con entrambe le teorie di cui accennavamo a inizio articolo. Dunque, in primis, imperfezioni di base, affidabilità, potenza ed efficienza, che le gare in Malesia e in Giappone hanno evidenziato nettamente. E a Singapore, invece, sono entrati in gioco i nervi e la scarsa preparazione sia del muretto che del pilota ad una tra le prime file più preziose di tutta la stagione.

Questo, in sostanza, è un secondo grosso punto su cui cercare di migliorare. Che però non è tanto tecnico e soggetto agli aggiornamenti del caso come una qualsiasi power unit, perché riguarda la componente umana. A Marina Bay è mancato il pugno fermo del famoso ‘leader negli spogliatoi’, che in Ferrari corrisponderebbe a Maurizio Arrivabene. Un leader che quest’anno ci è parso a tratti tanto nervoso quanto il suo pupillo Vettel e che molti ritengono non adatto a gestire un ambiente difficile come quello di una scuderia di Formula Uno. E su questo ci vengono in aiuto le parole dell’ex pilota Arturo Merzario, che ha sinteticamente fatto il punto:

“Arrivabene è un manager, più o meno bravo non lo so. Tra l’altro in Philip Morris ce l’ho portato io quindi lo conosco bene da decenni, ma quando un pilota è in pista e abbiamo visto che Vettel è uno fragile mentalmente se non ha tutto in ordine e la macchina giusta, non può capire cosa passa per la testa di un pilota, non può dire la parola giusta. Al massimo gli dice calmati Seb, ma uno che sta nell’abitacolo e tira come un matto una cosa del genere lo fa incazz ancora di più. La Ferrari ha bisogno, se i piloti restano questi, di una figura che faccia da anello di congiunzione fra il pilota in pista e il muretto dei box, cosa che al momento manca. La Mercedes con Toto Wolff, uno che ha corso nel GT e Lauda, la Red Bull come Helmut Marko, mio ex compagno di squadra nei prototipi e Chris Horner, sono nettamente superiori alla Ferrari”. Insomma, i guai della Ferrari passano per due cose che si chiamano cavalli e armonia. Forse di mezzo ci metteremmo anche il contributo di un Kimi Raikkonen qualsiasi, che con il sopravanzare di Leclerc nel Circus si avvicina presto al declino che a breve gli spetterà. Dei cavalli abbiamo già parlato, l’armonia c’è se va tutto bene. Quando le cose non vanno, però, in pochi sanno cosa dire a un pilota. 

Nicola Puca

Fonte immagine in evidenza: eurosport

 

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