Era il lontano 79 d.C quando Pompei ed Ercolano furono immobilizzate per sempre sotto la lava del Vesuvio. Ed è bastato rimuovere un po’ di polvere affinché tutto ciò che immobilmente continuava a vivere di quelle città riprendesse corpo nel presente: a poco a poco iniziarono a configurarsi tutti gli aspetti dell’esistenza di quei popoli, dall’ambito sociale e politico a quello religioso… ed erotico.
Che in materia di sessualità l’umanità abbaia fatto notevoli passi indietro negli ultimi due millenni è un fatto -più o meno- risaputo (questo vale almeno per il ventennio precedente, prima che internet restituisse il pornharmony alle ultime generazioni), ma ciò che riemerse da quelle ceneri e le restrizioni, le censure e le precauzioni di cui nei secoli furono oggetto i ritrovamenti ne sono una conferma a suo modo divertente.
La Storia
Gli scavi per riportare alla luce Pompei ed Ercolano iniziarono nel 1748 e, mano a mano che si procedeva, edifici pubblici, case private, lupanari o anche le semplici mura della città restituirono numerose ed esplicite testimonianze delle abitudini sessuali delle popolazioni delle città romane. Specchi in bronzo, vasi attici a figure rosse, campanelli, candelieri, flaconi per profumo: i reperti si accumularono in misura sempre maggiore -con il continuo accrescersi anche dello stupore degli addetti- finchè fu deciso di dedicare a questi oggetti scabrosi un’area riservata nel Museo Ercolanese di Portici, per poi essere trasferita al Museo Archeologico di Napoli (dove al momento occupa le stanze 62 e 65).
La denominazione Gabinetto Segreto (molto spesso abbreviata nel più misterioso acronimo G.S.) si deve ai Borboni, casata regnante al momento del ritrovamento dei resti di Pompei ed Ercolano. Essi disposero che “avessero unicamente ingresso le persone di matura età e di conosciuta morale”, e mentre nel corso degli anni lentamente alla collezione si andava mutando il nome in “Gabinetto degli oggetti osceni” o “riservati” o “pornografici”, a queste piccole restrizioni andò sostituendosi un vero e proprio ostracismo, tanto più se si pensa che in epoca tardo-borbonica si radicò la convinzione che i costumi licenziosi di quelle antiche città fossero gli stessi della Casa Reale. Furono accusati di essere “infami monumenti della gentilesca licenza” e -in particolare dopo i moti del 1848- a quegli oggetti si iniziò addirittura a dare una connotazione politica, ravvisando in essi il simbolo delle libertà civili e di espressione e di conseguenza censurabili, perchè pericolosi agli occhi del potere reazionario.
Fu avanzata la proposta di distruggere l’intera collezione, alla quale provvidenzialmente si oppose l’allora direttore del Real Museo Borbonico, riuscendo ad ottenere che continuasse ad esistere ma che fosse vietata la visita al pubblico, o per lo meno che ne fosse reso molto difficile l’accesso. Per questo motivo la stanza fu blindata con un portone che contava ben tre serrature con altrettante chiavi diverse, in possesso rispettivamente del direttore del museo, del “controloro”, e del real maggiordomo maggiore.
Il culmine della censura però si ebbe nel 1851, quando agli oggetti della collezione furono aggiunte anche le immagini di Venere solo perchè nuda, e la camera fu definitivamente sigillata e poi murata affinché “se ne disperdesse per quanto era possibile la funesta memoria”.
Il divieto fu temporaneamente interrotto quando Garibaldi arrivò a Napoli, nel settembre del 1860: ordinò di rompere i sigilli e che la sala fosse resa “giornalmente accessibile al pubblico”, e al mancato ritrovamento di una delle chiavi delle serrature ordinò di scassinare la porta (un documento ufficiale esposto all’ingresso della sala ne attesta la verità storica).
Ma la censura tornò di nuovo in epoca fascista, quando per visitare il Gabinetto occorreva il permesso del Ministro dell’Educazione Nazionale a Roma: nel 1934 fu sancito che la sala poteva essere visitata soltanto da artisti che avessero certificato la propria professione, o dalle personalità in visita ufficiale che ne avessero fatta richiesta. Soltanto dopo la fine del regime e dopo le richieste del 1971 per regolamentare le modalità di accesso alla sala, la censura andò lentamente restringendosi. Eppure fu solo nel 2000, ben trent’anni dopo, che la sala fu resa accessibile al pubblico nel modo in cui lo è oggi.
Adesso il Gabinetto Segreto è visitabile su prenotazione, gratuita, che si può gestire il giorno stesso della visita. L’ingresso è aperto ai minori di 14 anni solo se accompagnati da un adulto, che se ne assume ogni responsabilità.
Il tema: la sessualità antica
L’allestimento dei reperti è organizzato in base alla loro provenienza sui contesti originari: un’antisala, un piccolo vestibolo non appena varcato l’ingresso e quattro sale interne in sequenza disposte a ferro di cavallo, rispettivamente la casa pompeiana, il giardino pompeiano, il lupanare (bordello), la strada pompeiana.
Gli oggetti esposti toccano tutte le sfere della sessualità antica, quando il piacere sessuale trovava perfetta fusione nell’arte, nel pensiero e nell’esorcismo del male: dall’ambito del piacere di coppia a quello magico, da quello commerciale e caricaturale a quello religioso e funerario. Infatti l’utero, il fallo -spesso di dimensioni spropositate- avevano per gli antichi un valore propiziatorio della fertilità o apotropaico per attirarsi la buona sorte, oppure più semplicemente ludico, in un mondo dove la sessualità veniva vissuta senza ipocrisie e falsi bigottismi, libera espressione della gioia del vivere.
Dal punto di vista artistico, i reperti di maggiore valore li ritroviamo nelle pitture di ispirazione ellenistica, rappresentanti scene erotiche con protagonisti eroi o dei (figura predominante è Venere, spesso rappresentata insieme a Marte), oltre alle figure di satiri che sorprendono le menadi o gli ermafroditi. In particolare, dal punto di vista religioso, i culti di Dioniso e di Priapo vedevano nella sessualità –poichè tali riti si ricollegavano ai cicli vegetativi e all’umana fertilità– un posto di primissimo piano.
Di altra natura e di pressoché scarso valore artistico -ma fondamentali dal punto di vista documentario- sono le rappresentazioni che decoravano le pareti dei lupanari, delle stanze private delle taverne pubbliche, delle case private dove il padrone si divertiva ad intrattenersi con le meretrici e, molto spesso, anche raffigurate sui muri delle terme pubbliche (luogo di prostituzione). Queste avevano uno scopo commerciale, quindi più diretto alla crudezza degli istinti per l’eccitazione sessuale che alla rappresentazione artistica in sè. Numerosi sono anche i graffiti sulle mura della zona del porto dove venivano inscritti i prezzi delle prestazioni.
Per quanto riguarda le decorazioni piuttosto esplicite di piatti, coppe, lucerne e quant’altro, questo si deve a quello che era considerato il luogo -tanto per i Greci che per i Romani- del piacere per eccellenza, ossia il banchetto nelle case private. “Hic habitat felicitas” (qui abita la felicità) recita un celebre rilievo in travertino.
Il simbolo non ufficiale del Gabinetto Segreto è una statuetta, ubicata all’ingresso della mostra, che vede il dio Pan (umano solo nella parte superiore del corpo) mentre si congiunge con una capretta in una posizione piuttosto esplicita, con una notevole resa di particolari che esalta la natura ibrida del dio.
Ilaria Cozzolino