Evan Gershkovich
Fonte immagine: ABC NEWS.

Corrispondente americano per il quotidiano internazionale The Wall Street Journal, Evan Gershkovich, Vanya per gli amici, è oggi detenuto in Russia con l’accusa di spionaggio presso il carcere di Lefortovo – quello delle Grandi purghe staliniane degli anni ’30 –. Nella sua cella sono ancora leggibili le scritte sui muri lasciate dalle vittime del Grande Terrore.  

La laurea in Arti Liberali e il primo lavoro al Times

I genitori di Evan Gershkovich sono una coppia di esuli ebrei fuggiti dall’Unione Sovietica e conosciutisi a Detroit e trasferirsi nel New Jersey, dove Evan e la sorella maggiore Danielle sono cresciuti.

Appassionato di giornalismo nel 2014 si laurea in Arti Liberali all’Università di Bowdoin, nel Maine, e nel 2016 viene assunto dal The New York Times come ricercatore. Russofono, viene convinto a sfruttare le proprie conoscenze linguistiche per dedicarsi a reportage che denuncino le condizioni di vita in un Paese nel quale la libertà di stampa si sta modellando ai comandi del regime. Nel 2017 viene assunto come Reporter dal The Moscow Times, giornale online indipendente in lingua inglese, posizione che nel 2020 inizia a ricoprire per l’Agence France-Presse, agenzia di stampa francese.

Il The Wall Street Journal e l’arresto

I suoi amici e colleghi lo descrivono come un uomo estremamente tradizionalista: veterano del Veladora, il ristorante messicano in Pokrovka Street, al centro di Mosca, e di un bar kitsch, dove è possibile assaggiare la cheesecake migliore della città. È forse qui che Gershkovich fa domanda per lavorare come corrispondente da Mosca per il The Wall Street Journal, per cui seguirà l’inizio e il perpetuarsi del conflitto russo-ucraino.

Quando le forze governate da Putin invadono i territori ucraini, nel 2022, Gershkovich si sposta al confine tra Bielorussia e Ucraina. Sopravvissuto a lungo ai raid russi, causa primaria dello sterminio di civili, soldati e addetti stampa – molti di loro arrestati –, nell’ultimo periodo stava lavorando ad un’inchiesta legata al gruppo Wagner. Secondo una fonte anonima, il reporter era impegnato nella ricerca di informazioni legate alle attività del complesso industriale militare Uralvagonzavod, la fabbrica fondata del 1936 sotto il dominio staliniano e produttrice della più alta quantità di carri armati: questo l’espediente che ha dato seguito alla formulazione delle accuse di spionaggio ai danni di Gershkovich e che ne hanno formalmente garantito l’arresto e la detenzione. Un’imputazione che, stando all’art. 276 del Codice penale russo, prevede una condanna fino a vent’anni per tutti coloro che operano alla ricerca di informazioni d’intelligence sullo stato delle forze armate russe. A Evan, in questo caso, che dal 29 marzo è detenuto nel carcere di Lefortovo dopo essere stato arrestato da un gruppo di uomini in borghese mentre si trovava al ristorante Bukowski Grill di Ekaterinburg, al confine tra la Russia europea e la Russia asiatica. 

Le accuse del ministero degli Esteri russo contro Evan Gershkovich e le richieste di Biden

«È stato colto in flagrante mentre cercava di ottenere dati segreti, utilizzando il suo status di giornalista come copertura per un’attività illecita qualificata come spionaggio» ha dichiarato in un comunicato il ministero degli Esteri russo, che chiarisce i motivi per i quali al reporter è stata negata, l’11 maggio scorso, la richiesta di visita dell’ambasciata statunitense: «è stato sottolineato in particolare che un atto di sabotaggio volto a ostacolare il normale lavoro giornalistico non rimarrà senza ritorsioni» riporta, facendo chiaro riferimento al mancato rilascio dei visti ai giornalisti russi.

Sembra che lo stato di custodia cautelare sotto il quale il corrispondente è detenuto si dovrà protrarre fino al 29 maggio, una decisione che la corte ha annunciato al termine dell’udienza a porte chiuse tenutasi nella giornata del 18 aprile. Un processo giudiziario, quello che aspetta a Gershkovich, che il sistema legale russo definisce estremamente lungo e con poche speranze di assoluzione, ma che il presidente statunitense Joe Biden chiede possa concludersi con un’immediata liberazione. 

«Lavoro come un dannato per far liberare Gershkovich» ha dichiarato nel corso della cena annuale dei corrispondenti della Casa Bianca, il 30 aprile scorso, dove l’applauso dei presenti in sala – molti indossavano la t-shirt con su scritto Free Evan – è stato per Ella e Mikhail, i genitori del giornalista. Un rilascio che potrebbe avvenire esclusivamente attraverso uno scambio con un prigioniero russo detenuto nelle carceri statunitensi o con la caduta del regime vigente nell’ex Unione Sovietica. 

Gershkovich scrive alla famiglia

«I want to say that I am not losing hope […] I read. I exercise. And I am trying to write. Maybe, finally, I am going to write something good […] Until we meet soon. Write me» si legge nella lettera – l’unica, a causa di un minuzioso processo di monitoraggio della corrispondenza portato avanti dai servizi di sicurezza – che Gershkovich ha inoltrato alla sua famiglia, ancora in attesa di fargli visita.

Arianna Lombardozzi

Da sempre appassionata di informazione e tematiche sociali e cresciuta coltivando il desiderio di dare voce a coloro che non ne hanno, studio Strategie culturali per la cooperazione e lo sviluppo dopo il conseguimento di una laurea triennale in Scienze della Comunicazione.

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