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La squadra canadese dopo anni di fallimenti riesce a coronare un sogno durato 24 anni e che nelle ultime stagioni sembrava sfuggire di mano, sempre di più. Sono state necessarie sei partite emozionanti e una piccola dose di sfortuna degli avversari. Ma non chiamatela vittoria con l’asterisco, perché Toronto ha meritato il titolo.

Non è la fine del mondo. Masai Ujiri appare sorridente quando si mostra davanti ai giornalisti nella consueta conferenza stampa di fine stagione. Alla prima domanda però quell’apparente stato di serenità viene spazzato via dalla serietà del linguaggio facciale e dalla durezza delle parole. Siamo al 9 maggio del 2018 e per i Toronto Raptors è già tempo dei titoli di coda. I tifosi canadesi sembrerebbero essere entrati in un loop: nuovo anno, nuove speranze, nuove delusioni. Di questo infinito sogno che continua a cessare gioca una parte fondamentale LeBron James, che per la terza volta è riuscito a disfarsi dei Raptors senza troppi problemi. Eppure, in estate il presidente delle operazioni cestistiche Ujiri aveva provato a dare una scossa proponendo un gioco più offensivo, più corale, più vicino al basket contemporaneo utilizzando maggiormente il tiro da dietro l’arco (709 tentativi in più rispetto alla stagione precedente). Ma niente, la risposta alla domanda che vale più di un milione di dollari, che non vale neanche il titolo ma soltanto la speranza di poterci provare, non è stata ancora trovata: non è possibile eliminare i Cleveland Cavaliers

“But it’s not doomsday”, per Ujiri. È stata una stagione molto importante per lui e l’atteggiamento visto durante l’ultima serie di playoff ha testimoniato quanto effettivamente lo fosse. Il basket NBA è in Canada da ventiquattro anni, ma mai come nella stagione 2017-18 la percezione dei Raptors era diversa, sembrava davvero la squadra chiamata ad interrompere l’ennesima finale tra Golden State e Cleveland. E tutta la frustrazione dell’ennesimo insuccesso si è palesata agli occhi di tutti quando durante gara-3 è corso sul parquet di gioco all’intervallo per urlare agli arbitri, cosa gli è costata 25.000 dollari di multa.

Nella sua appassionata conferenza stampa, la cosa che più di tutte è saltata all’occhio è stata la completa, incrollabile fiducia nel futuro della franchigia. We’ll get better“Miglioreremo”, continua a ripetere. 

Non erano parole di circostanza. Oggi, quattrocentocinque giorni dopo, possiamo dirlo con assoluta certezza: Masai Ujiri aveva ragione.

LA GRANDE SCOMMESSA. Nella NBA se una squadra è troppo forte per tankare ma non lo è abbastanza per puntare alla vittoria ci sono due strade: 

  • Continuare e restare nel limbo della media-grandezza;
  • Cominciare il cosiddetto rebuilding cedendo i migliori asset e cercare di accaparrarsi un giovane attorno a cui valga la pena costruire un progetto;
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(Photo by Tom Szczerbowski/Getty Images)

Ujiri ha scelto la terza via, meno battuta e meno sponsorizzata perché più rischiosa: fare all-in. Houston a modo suo ha fatto la stessa cosa decidendo di firmare Chris Paul, per fare un esempio. Questo ha portato ad una serie di decisioni dolorose quanto impopolari, che avrebbero potuto rompere il perfetto equilibrio che si era creato nei Raptors dal suo arrivo nel 2013. Per prima cosa:  bon voyage, coach Casey. Non capita tutti gli anni di vedere un allenatore, che ha guidato una squadra a 59 vittorie in regular season ed è stato eletto miglior allenatore della stagione, esonerato. Al suo posto viene promosso capo allenatore il vice Nick Nurse, che alla sua prima esperienza assoluta è chiamato non solo a guidare una buona squadra, ma a renderla una contender per la vittoria, qualcosa che è stato chiesto recentemente solo a Steve Kerr e Tyronn Lue. Con la differenza che questi ultimi condividono un passato da giocatori (e campioni) NBA che Nurse non ha assolutamente. Una scelta inusuale, vista dall’esterno, ma non per Ujiri che aveva osservato il lavoro che aveva svolto in questi anni e la cui preparazione, soprattutto in termini di set offensivi (è stato lui l’artefice della trasformazione in attacco), era riconosciuta sia dai giocatori che dai dirigenti. 

Se Nurse era una soluzione fuori dal comune, ma che comunque ci poteva stare, considerando la sua presenza come assistente dal 2013, totalmente inaspettata è stata la decisione di scambiare DeMar DeRozan, il giocatore franchigia. Arriviamo così al secondo punto: la trade per arrivare ad un Kawhi Leonard. Ujiri, però, ha ritenuto che fosse abbastanza per ipotecare il futuro dei Raptors, che non vi fossero migliori alternative. DeRozan nei suoi anni a Toronto ha sempre dimostrato un enorme talento e attaccamento, ma non al punto di poter essere la punta – scusate il gioco di parole – di diamante di una squadra che vuole vincere. A differenza sua, Leonard ha dimostrato indiscutibilmente di essere uno dei migliori giocatori della lega, riuscendo a trasformarsi da straordinario difensore (due volte DPOY) a letale attaccante capace di segnare in ogni modo. 

Sul fatto che complessivamente Leonard sia un giocatore migliore di DeRozan, ci sono pochi dubbi. Il dubbio principale sulla trade, oltre ai problemi fisici riscontrati dall’ex giocatore degli Spurs nelle ultime due stagioni, riguardava il suo contratto, in scadenza quest’estate. In poche parole, i Raptors hanno dato via un giocatore importante che sarebbe rimasto a vita a Toronto per qualcuno che dopo un anno avrebbe potuto dire addio. Una vera e propria mossa d’azzardo forse dettata dalla disperazione, forse dalla convinzione che, in un modo o nell’altro, un modo per persuaderlo a restare ci fosse. E ancora adesso, dopo un titolo, l’effettiva certezza non vi è sulla permanenza di Leonard in Canada, nonostante sia palese che non vi sia un ambiente migliore per lui di questo.

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Il tiro allo scadere di Leonard contro Philadelphia che ha deciso la serie

ALL-TIME PERFORMANCE. Nei secondi finali di gara-6 Leonard ha avuto il compito di segnare i due liberi che avrebbero chiuso definitivamente gioco, partita e incontro. Neanche un singolo spettatore presente alla Oracle Arena pensava di poter assistere ad un errore, che infatti non è arrivato. La sua (forse) ultima partita con la maglia dei Raptors si è chiusa con 22 punti, non tantissimi; è il punteggio più basso dell’intera serie e molto al di sotto della sua media playoff (30.5). Ma The Claw non è mai sembra molto interessato ad aspetti del genere, men che meno quando hai appena battuto Golden State. Leonard non solo ha giocato dei playoff leggendari ma ha alzato il proprio livello in base a quanto in alto veniva regolata l’asticella, turno dopo turno. Toronto ha eliminato tutte le contender della Eastern Conference e la squadra più dominante degli ultimi anni della lega, per quanto decimata. E in tutte queste serie Kawhi è stato il miglior giocatore di entrambe le squadre.

Fossimo stati i lettori di un fumetto, avremmo letto quattro volte ‘boing’ al momento del tiro allo scadere che ha suggellato gara-7 contro Philadelphia. Quattro rimbalzi, lui in ginocchio e l’intera Scotiabank Arena con il fiato sospeso, in attesa che quella maledetta palla decidesse di entrare. Nessuno nella storia della NBA aveva mai chiuso una gara-7 con un buzzer, Jordan era riuscito in un’impresa simile contro Cleveland nel 1989 quando ancora il formato dei primi turni era strutturato al meglio delle cinque. Nella serie successiva ha dovuto contrastare il probabile MVP della stagione, Giannis Antetokounmpo, che fino a quel momento sembrava essere inarrestabile. Dopo lo 0-2 iniziale, Nurse ha deciso di piazzare permanentemente Leonard in difesa sul giocatore greco, i risultati sono stati i seguenti: su 160 possessi Giannis ha tirato 34 volte segnandone 12 (35.3%) per un totale di 30 puntiLockdown defense, la definirebbero dall’altra parte dell’Atlantico. 

Arriviamo agli Warriors, il mostro finale, l’ultimo livello da superare. Certo, con assenze importanti nel corso della serie, una in particolare con la ‘a’ maiuscola. Ma pur sempre gli Warriors. E lui è stato semplicemente inarrestabile. Nessun difensore della squadra campione back-to-back è stato capace di contrastare il suo strapotere offensivo: dal palleggio, in virata, in post, da fuori. Il repertorio che Leonard ha offerto nel corso delle sei partite è stato ampio, ma ancora più importante è stata la sua capacità di comprendere che senza l’apporto dei suoi compagni non avrebbe mai potuto farcela. Ed ecco così che nei momenti in cui era più freddo o in quelli in cui gli avversari erano sopra (anche in doppia cifra), non ha mai cercato di raddrizzare la partita da solo, ha sempre giocato assieme ai suoi compagni, li ha messi in ritmo, si è fidato di ognuno anche nelle partite meno brillanti. Alla fine è stata questa la forza dei Raptors, il gruppo, il tanto vituperato supporting cast che stava deludendo enormemente in questa post-season, prima delle quattro vittorie consecutive contro Milwaukee.

IL GRUPPO. Dobbiamo delle scuse a Kyle Lowry. Criticato e messo in discussione – anche giustamente – non ha mai cercato delle giustificazioni, ha sempre lavorato per il bene di Toronto. Ed è stato ripagato. Ha giocato una serie finale perfetta, soprattutto difensivamente. Ha preso i soliti sfondamenti, ha messo in difficoltà (per quanto possibile) Curry, è riuscito a dimostrare di essere il giocatore che tutti noi attendevamo da tempo. Non è una stella, non è un giocatore che può vincere le partite da solo, ma il suo contributo e il lavoro “sporco” è stato fondamentale tanto quanto un canestro segnato o una stoppata. Rispecchia in pieno la rappresentazione dei Raptors: sottovalutati, spesso sbeffeggiati, irriducibili. La quarta volta è stata quella buona. Tutti i giocatori di Toronto assomigliano per storia a Lowry, in un certo senso anche Leonard, quantomeno quello dei primi anni. I canadesi sono la prima squadra nella storia a vincere un titolo con nessun giocatore selezionato al draft tra le prime 14 posizioni: Leonard alla 15°, Anunoby alla 23°, Lowry  e Ibaka alla 24°, Siakam alla 27°, Gasol alla 48°, VanVleet undrafted

La storia del titolo di Toronto inizia da lì, dalla sottovalutazione perenne di cui questi ragazzi sono sempre stati marchiati, compreso Nick Nurse. E compreso anche Kawhi Leonard, arrivato nella lega come giocatore bravo a rimbalzo – board man get paid

E adesso possono finalmente godersi il meritato trionfo. Complimenti Toronto. Per il futuro, c’è tempo.

fonte immagine in evidenza: tvcnews.tv

Michele Di Mauro

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