Paolo Borsellino, il giudice antimafia che combatté per smascherare gli alti vertici di “Cosa Nostra”, venne ucciso il 19 Luglio del 1992. Erano le 16:58 quando Via D’Amelio, a Palermo, divenne un inferno di fuoco, polvere e detriti.

Paolo Borsellino aveva passato una tranquilla domenica al mare in compagnia della sua famiglia, nel pomeriggio doveva recarsi in Via D’Amelio, dove viveva sua madre, per farle visita. Arrivò sul posto insieme agli agenti addetti alla sua protezione, ma quando furono davanti al campanello, una Fiat 126, parcheggiata proprio davanti alla casa, venne fatta esplodere, uccidendo il giudice e cinque agenti della sua scorta: Agostino Catalano, Walter Eddie Cosina, Emanuela Loi, Claudio Traina e Vincenzo Fabio Li Muli; unico superstite della strage fu Antonino Vullo, che al momento dell’esplosione stava parcheggiando una delle auto.

paolo borsellino

Qualche mese prima, precisamente il 23 maggio, sull’autostrada A29, venne ucciso il giudice collega e amico di Borsellino, Giovanni Falcone, che con lui collaborò nel pool antimafia ideato da Rocco Chinnici. I due giudici, insieme a Leonardo Guarnotta e Giuseppe Di Lello, indagavano sulla delicata e scottante trattativa Stato-Mafia. Dopo la morte di Falcone, Paolo Borsellino continuò nel suo lavoro e nella sua lotta a Cosa Nostra, nonostante fosse certo di essere in pericolo, come dichiarò nelle numerose interviste rilasciate nei  57 giorni successivi alla morte del suo collega: Mi uccideranno, ma non sarà una vendetta della mafia, la mafia non si vendica. Forse saranno mafiosi quelli che materialmente mi uccideranno, ma quelli che avranno voluto la mia morte saranno altri”.

Paolo Borsellino
Paolo Borsellino e Giovanni Falcone

Numerosi sono i dubbi e i misteri intorno alla strage di Via D’Amelio, tante sono le domande che ancora oggi non hanno trovato risposta, prima tra tutte: perché le macchine davanti la casa della madre di Paolo Borsellino non vennero mai rimosse, nonostante la richiesta fatta, giorni prima, dal giudice? Possibile che nessuno sia responsabile di questa richiesta inascoltata, costata la vita a sei persone?

C’è poi un altro elemento da considerare, decisamente importante, l’agenda rossa di Paolo Borsellino. Stiamo parlando di un’agenda dell’Arma dei Carabinieri, dove il giudice appuntava indizi, nomi, fonti, tutti gli elementi delle sue indagini, per questo non se ne separava mai, come confermarono anche la moglie e il figlio, che quella domenica avevano visto Borsellino riporre l’agenda nella sua borsa marrone. L’agenda sparì dal luogo della strage, inizialmente venne indagato per furto il colonnello dei carabinieri Giovanni Arcangioli, ripreso mentre si allontanava dal luogo dell’attentato con la borsa marrone, successivamente ritrovata nell’auto blindata, e venne dunque prosciolto “per non aver commesso il fatto”. Come ha scritto Marco Travaglio, nell’introduzione al libro “L’agenda rossa”, di Giuseppe Lo Bianco e Sandra Rizza: “L’impressione è che, ai piani alti del potere, quelle verità indicibili le conoscano in tanti, ma siano d’accordo nel tenerle coperte da una spessa coltre di omissis. Per sempre. L’agenda rossa è la scatola nera della Seconda Repubblica”.

Oggi, il fratello di Paolo, Salvatore Borsellino, continua a combattere attraverso il Movimento delle Agende Rosse, da lui costituito, affinché sia fatta piena luce sulla strage, ma nonostante i tanti processi, le indiscrezioni e gli studi fatti sull’accaduto, resta l’enigma su quella domenica del 19 Luglio 1992, dove l’unica cosa certa è la morte di uomini e donne retti, onesti, che combattevano per la libertà e la limpidezza di uno Stato marcio dall’interno.

Alessia Centi Pizzutilli

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