Nell’era delle pay-per-view le conferenze stampa ad invito sono, forse, l’ultimo passo per ammazzare il calcio di un tempo.

Forse il modo più brutto per congedarsi da un’epoca il cui spirito era tenuto  ancora vivo da molte persone che con passione per il calcio e per il proprio mestiere mettevano ancora del sentimento nella cronaca sportiva, chi in maniera elegante, chi un po’ meno.

In questi giorni siamo tornati più volte sulla palese insofferenza del patron del Napoli alla pressione dei tifosi e di una parte della stampa. Già: anche di una parte della stampa. Forse proprio in risposta a delle domande fatte da un ex capo ultras, il patron azzurro ha voluto chiudere i contatti con tutti quelli che non seguano una linea di condotta gradita. Non lo diciamo noi, ma è un dato di fatto scaturito dalla decisione presa dalla società in queste ultime ore.

È fuor di dubbio che anche tra i giornalisti, come in tutte le arti e mestieri, non vi siano tutti luminari e non tutti pratichino l’esercizio del giornalismo con precisa e doverosa osservanza di alcune regole, anche non scritte. Ma tutti devono avere il diritto di esprimere le proprie opinioni, fare le loro domande e tutti devono avere il diritto di riportare i fatti legati, in questo caso, al calcio Napoli.

Se proprio si vuol far in modo da cambiare le cose, che si renda più articolato ed approfondito l’iter per diventare giornalisti.

Chi fino ad ora veniva accreditato aveva tutte le carte in regola per essere seduto dove aveva richiesto (nessuna regola è stata mai infranta), dovrà continuare a farlo e, con lui, anche tutti quelli che hanno voglia di parlare e scrivere di calcio, in un’epoca in cui il calcio per continuare a vivere ha bisogno di chi al calcio dà, e dal calcio non prende.

Salvatore Annona

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