Un processo storico, quello sulla strage di Capaci, che dopo 22 anni ha inflitto le condanne dell’ergastolo ai boss Giuseppe Barranca e Cristoforo Cannella. Condanna a 30 anni per Cosimo D’Amato e a 12 anni per il pentito Gaspare Spatuzza. Il processo si è svolto in forma abbreviata e il giudice ha rinviato al processo civile la liquidazione del danno per le parti civili. Ha disposto, inoltre, che la provvisionale (somma di denaro che il giudice liquida a favore della parte danneggiata o del creditore come anticipo di quanto gli spetterà definitivamente) diventi immediatamente esecutiva.

Analizzando le pene inflitte, salta subito agli occhi la mitezza della pena di Spatuzza a fronte dei reati contestatigli. Il che si spiega tenendo conto delle attenuanti riconosciute ai collaboratori di giustizia in quanto lo stesso processo è nato dalle dichiarazioni del pentito che ha chiarito in quali circostanze e in quali modi fu recuperato l’eccezionale quantitativo di esplosivo che causò la morte del giudice Falcone, della moglie Francesca Morvillo e della scorta.

Le altre persone coinvolte nella fase preparatoria dell’attentato saranno processate con il rito ordinario, il che comporterà la rinuncia allo sconto di un terzo della pena che la legge prevede per il rito abbreviato. Il procuratore capo di Caltanissetta, Sergio Laire, ha esternato la sua soddisfazione per le sentenze emesse in quanto basate sul pieno riconoscimento dell’impianto accusatorio portato avanti dalla procura. Si augura di ottenere lo stesso risultato al termine del rito ordinario.

Dagli stralci dei verbali, che allora furono ripresi da Repubblica, si apprende che Cannella, un mese prima della strage, chiese a Spatuzza di recuperare una grossa auto sulla quale trasportare un ingente quantitativo di esplosivo contenuto in due cilindri delle dimensioni di 50 centimetri per 1 metro contenenti le bombe e legati con delle funi sulle paratie di una barca attraccata al molo di Porticello. I fusti vennero portati in una casa diroccata di una zia di D’Amato. Successivamente, sempre con la stessa modalità, si recuperò altro esplosivo poi servito ad uccidere Falcone. Nelle deposizioni rese Spatuzza afferma di non sapere a cosa servisse l’esplosivo, anche se, sempre nel corso del dibattimento, ha collegato la circostanza con l’attentato di Capaci. Si è poi accertato che sotto l’asfalto di Capaci non ci fosse solo l’esplosivo di cui parla Spatuzza, in gran parte procurato da Giovanni Brusca, ma anche un ingente quantitativo recuperato da bombe inesplose della seconda guerra mondiale che giacevano sul fondo del mare antistante Palermo e che era finito nella disponibilità del boss Brancaccio.

Un quantitativo enorme sicuramente superiore a quello necessario per perpetrare il disegno criminoso di Cosa Nostra ma il cui scopo recondito, poi accertato dalle dichiarazioni dei pentiti, era quello di dichiarare guerra allo Stato. Un atto dimostrativo che rientrava nella strategia terroristica di un’organizzazione criminale che stava ricevendo duri colpi dall’operato del giudice Falcone.

Francesco Romeo

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