Jobs act, “Lavoriamo alla delega così come l’abbiamo approvata“. Lo ha detto il ministro del Lavoro Giuliano Poletti durante l’incontro con imprese e sindacati sui decreti attuativi della legge. Arriva, poi, una sorta di contentino per le parti sociali da parte del Governo che intende “illustrare le sue posizioni”, per poi “raccogliere le istanze e le sollecitazioni, prendendo le sue decisioni nel rispetto della delega”.
Nonostante le lamentele dei sindacati che non hanno ancora visto il testo definitivo, l’obiettivo dell’Esecutivo è varare entro il prossimo 24 dicembre i primi due decreti attuativi: quello sugli ammortizzatori sociali con l’estensione del sussidio di disoccupazione anche ai collaboratori, e quello sul contratto unico a tutele crescenti.
Restano divise le parti sociali: se la CISL condivide l’idea di un contratto a tutele crescenti come forma più “competitiva e diffusa”, da affiancare a indennizzi adeguati, il segretario generale Carmelo Barbagallo parla per la UIL, promettendo “lotte crescenti. Era stato promesso ai giovani che si sarebbe parlato per loro di occupazione: oggi, però, la riunione è iniziata parlando di licenziamenti. Noi vogliamo evitare la strage di posti di lavoro”.
Dura in merito al Jobs Act anche la critica di Susanna Camusso, segretario nazionale della CGIL, la quale tuona “È stato illustrato quello che potremmo definire ‘contratto a monetizzazione crescente’. Il cuore della proposta è che si passa da una tutela reale, concreta, alla monetizzazione di quella tutela. Non c’è alcuna traccia degli ammortizzatori sociali”.
Appare ovvio come sia la UIL che la CGIL siano concordi nel considerare la legge sul lavoro una riforma che dia maggior rilievo alle imprese rispetto ai lavoratori, tutelando maggiormente le prime e cercando di indennizzare quello che prima era un diritto: il reintegro. Insomma i sindacati sembrano ritornare, neppure velatamente, alla questione articolo 18 e si teme seriamente un peggioramento dello scontro sociale.
Tra le ipotesi in questione in merito al Jobs Act, c’è quella del reintegro per i licenziamenti disciplinari nel caso il “fatto materiale” non sussista, mentre è ancora incerta la questione degli indennizzi: l’intenzione è di mantenere 2,5 mensilità minime per le piccole imprese e portare, per le medio-grandi, la soglia tra i 3 e i 6 mesi. Per quanto riguarda il “giustificato motivo oggettivo” di licenziamento, potrebbe rientrare in questo anche la fattispecie di “scarso rendimento” che ha portato alla dura reazione dei sindacati e al timore di nuovi scioperi.
Morena Grasso