La lirica del primo Novecento italiano si sviluppa su due grandi linee: quella dei Crepuscolari e quella dei Vociani: i primi devono questo nome a Giuseppe Antonio Borgese che nel 1909 pubblicò una recensione per il quotidiano La Stampa in cui scriveva di “una voce crepuscolare, la voce di una gloriosa poesia che si spegne” riferendosi a quei poeti che attraverso un linguaggio dimesso e tendenzialmente parlato scrivevano poesie sulla vita quotidiana e sull’amore per le piccole cose. I Vociani erano invece quei letterati che si riunivano intorno al quotidiano fiorentino La Voce (tra cui ricordiamo Camillo Sbarbaro e Dino Campana).
Le caratteristiche principali delle poesie crepuscolari sono il verso libero e la pratica del frammento cioè la composizione breve e intensa: il maggior esponente di questa corrente fu senza dubbio il torinese Guido Gozzano che mescola nelle sue poesie parole comuni e termini risalenti alla tradizione classica di Dante e Petrarca e propone la letteratura come alternativa al degrado del mondo contemporaneo.
Verrà definito da Eugenio Montale “poeta dello choc” per gli incredibili effetti prodotti nelle sue poesie.
Era nato il 19 dicembre del 1883 e, senza aver terminato gli studi, cominciò a seguire le lezioni di letteratura italiana del professore Arturo Graf che in quegli anni insegnava a Torino, anch’egli poeta. Nel 1911 pubblicò la raccolta di versi “I Colloqui“ che ne consacrarono la fama, in cui troviamo componimenti indimenticabili come La signora Felicita ovvero la felicità, Totò Merùmeni e Invernale.
A questi anni risale anche la tormentata storia d’amore con la poetessa torinese Amalia Guglielminetti di cui abbiamo testimonianza dall’infinito carteggio raccolto e pubblicato postumo da Garzanti nel 1951 col titolo Lettere D’amore: i due si erano conosciuti nella primavera del 1907 a Torino, lei ha qualche anno in più ed ha appena pubblicato la raccolta di poesie Le vergini folli di gusto dannunziano, si scambiano le loro opere ma la malattia respiratoria di Gozzano gli impedirà di incontrarla spesso:
donna: mistero senza fine bello!
Tu m’hai amato. Nei begli occhi fermi
luceva una blandizie femminina;
tu civettavi con sottili schermi,
tu volevi piacermi, Signorina
e più d’ogni conquista cittadina
mi lusingò quel tuo voler piacermi.
Unire la mia sorte alla tua sorte
per sempre, nella casa centenaria!
Ah! Con te, forse, piccola consorte
vivace, trasparente come l’aria,
rinnegherei la fede letteraria
che fa la vita simile alla morte…
Oh! Questa vita sterile, di sogno!
Meglio la vita ruvida concreta
del buon mercante inteso alla moneta,
meglio andare sferzati dal bisogno,
ma vivere di vita! Io mi vergogno,
sì, mi vergogno d’essere un poeta!
La tubercolosi lo porterà alla morte, infatti, a soli 32 anni nel 1916.
I temi principali delle poesie di Guido Gozzano sono il rimpianto, l’incalzare del tempo e la fuga nel passato. Il titolo “I Colloqui” è anche quello delle due poesie che aprono e chiudono la raccolta in cui il poeta insiste sull’aridità della vita e su una giovinezza che passa troppo in fretta:
“Venticinque anni… Son vecchio, sono vecchio!”.
Gli ultimi anni sono scanditi esclusivamente dalla composizione di un poema, Le farfalle, allegoria di un viaggio spirituale in cui c’è il grande tema della metamorfosi da bruco a farfalla, ma restano dell’opera solo pochi frammenti.
Maria Pisani