Inno selvaggio (Oèdipus Edizioni) è l’ambizioso romanzo d’esordio della giovane scrittrice napoletana Claudia Neri. Il libro è stato presentato lunedì scorso presso la libreria Ubik di Napoli.
Noi di Libero Pensiero News abbiamo scambiato quattro chiacchiere con Claudia Neri.
Ciao Claudia! Prima di addentrarci nell’opera, ci parli un po’ di te?
«Certo! Mi chiamo Claudia Neri, ho 21 anni e studio Mediazione linguistica e culturale a L’Orientale di Napoli. Oltre alle lingue, mi interesso di comunicazione digitale, collaboro infatti con l’agenzia E-spox che si occupa principalmente di servizi digitali per aziende.
A sedici anni ho scritto un racconto intitolato Ira e da lì è nato Inno selvaggio, un romanzo in nove racconti, sette dei quali intitolati come i peccati capitali e due – la stessa storia divisa in due parti, per la precisione – che rappresentano l’equilibrio. Le sette tragedie sono scritte con stili e personaggi diversi, le trame non sono collegate se non per dei piccoli particolari che il lettore può individuare da una lettura attenta. Nei racconti, la presenza dei peccati e dei loro effetti sono allegorici e metaforici. Ad esempio, Gola è un racconto di guerra dove gli uomini “divorano” altri uomini, mentre Pigrizia ha come protagonista un uomo che è costretto a fuggire e non può fermarsi senza incorrere in morte certa. Il racconto diviso in due parti, intitolato 1984, è invece quello che si incarica di far convergere l’essenza di tutti gli altri e portare il lettore ad un equilibrio, nella lettura e nell’immaginazione, che è assente o precario in tutto il resto dell’opera.»
Quando è nata la tua passione per la letteratura? Chi sono gli autori che ti hanno maggiormente ispirata?
«Quando avevo sette anni mia sorella mi ha regalato il mio primo libro, “Inkiostrik, il mostro delle tasche nauseabonde” di Ursel Scheffler. Da quel momento in poi non ho mai più smesso di leggere e a dodici anni avevo già divorato Il ritratto di Dorian Gray. Per quanto riguarda Inno selvaggio, l’idea dei sette peccati capitali nasce da La tragica storia del Dottor Faust di Christopher Marlowe. Più in generale, i miei riferimenti letterari spaziano da Baudelaire a Zafón, passando per Pasolini. Oltre alla letteratura, l’ispirazione è arrivata anche dal cinema: il racconto Lussuria è legato a Sin City di Quentin Tarantino.»
Da dove nasce, invece, il titolo?
«La scelta del titolo è stata molto casuale. Leggendo una raccolta di poesie Ungaretti, mi balzò all’occhio la parola “inno” dalla poesia Inno alla morte. Il termine selvaggio l’ho scelto invece per creare una sorta di ossimoro: quando pensiamo ad un inno, pensiamo ad un’ode o comunque a qualcosa di celebrativo, non a un atto aggressivo, selvaggio. Quest’ossimoro si ricollega ad uno dei temi centrali del romanzo, cioè la contrapposizione tra equilibrio e tragedia.»
Hai adottato un metodo di scrittura preciso o più spontaneo?
«Nessun metodo. Inizialmente tendevo a seguire l’ispirazione, poi ho capito che l’importante è scrivere sempre, anche quando l’ispirazione sembra non voler arrivare. È questo il consiglio che mi sento di dare a quelli che vogliono intraprendere la strada della scrittura.»
Quali sono state le principali difficoltà nel pubblicare il tuo romanzo? Che idea ti sei fatta del mondo dell’editoria?
«Le difficoltà sono state tante, per lo più legate al fatto di non avere né esperienze precedenti né punti di riferimento. Una volta terminata l’opera, è difficile trovare la casa editrice adatta. Il problema principale è che la maggior parte degli editori, seppur dotati di grande esperienza, non sanno relazionarsi ai nuovi canali di promozione e sottovalutano la potenza dei social. È come se si rifiutassero di adattarsi ai tempi, di utilizzare i nuovi mezzi di comunicazione. Purtroppo è anche per questo che la letteratura viene considerata una cosa vecchia.»
Essendo una giovane originaria della nostra terra, qual è il tuo rapporto con Napoli?
«Amo Napoli alla follia. Ho vissuto per un anno a Londra e quando sei lontano la mancanza si fa sentire tantissimo. Da fuori, però, ci si rende ancora più conto di come la nostra città abbia enormi potenzialità che non vengono sfruttate. Qui ci sono tante persone che hanno voglia di fare e che hanno passione per ciò che fanno, ma che purtroppo vengono sempre messe in secondo piano. Ancora oggi regna questa mentalità dell’approfittarsene e del fregarsene, sia da parte dei politici che dei professionisti, i quali dovrebbero aiutare noi giovani ad emergere. È per questo che, oltre ad un amore smisurato, provo per la nostra città tanta pena: è come se avesse la velocità di Bolt, ma con le gambe spezzate.»
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Nicola Puca