Dopo le due sconfitte con l’Arsenal e la conseguente eliminazione dall’Europa League, in molti si sono chiesti cosa fosse cambiato in questo Napoli, che fino a qualche mese fa spaventava squadre come PSG e Liverpool (attuale semifinalista di Champions). La risposta ovviamente non è semplice. Si potrebbe parlare di un calo della condizione fisica non esaltate della squadra di Ancelotti, apparsa nettamente sottotono in quest’ultima parte di stagione. Si potrebbe parlare di una grandissima potenza fisica e tecnica della rosa londinese, che tra Emirates Stadium e Stadio San Paolo – non ce ne voglia Ancelotti – ha dato una sontuosa lezione di calcio agli azzurri. La risposta che emerge con maggiore evidenza sotto gli occhi di tutti, però, ha un nome e un cognome: Marek Hamsik.
L’assenza dello slovacco sembra aver avuto un impatto davvero enorme. Senza Marek il Napoli ha nettamente iniziato ad essere più brutto, più lento in fase di manovra e anche meno equilibrato. Certo, si potrebbe dire che l’Hamsik ammirato nell’ultimo anno e mezzo sembrava essere un lontano parente di quel centrocampista eccezionale e versatile ammirato negli anni della gestione Sarri. L’arretramento sulla linea mediana con Ancelotti, per questo da molti criticato, aveva sicuramente limitato quelli che erano i suoi numeri in termini realizzativi. Eppure, nonostante in un primo momento avesse sbilanciato la squadra, il ruolo di Marek nell’ultimo periodo sembrava essere determinante, soprattutto in fase di manovra. In molti a Napoli ricordano ancora quella splendida verticalizzazione per Callejon, da cui nacque il gol del vantaggio di Milik nella partita contro la Sampdoria, terminata poi 3-0, che fu l’ultima dello slovacco con la maglia azzurra. La sensazione è che il Napoli non sia riuscito a colmare l’assenza di Marek sia dal punto di vista tattico che caratteriale. Senza Rog, in prestito al Siviglia, e Diawara, infortunato, il Napoli si è trovato totalmente impreparato per compensare una simile mancanza. Anche se silenzioso, “Marekiaro” è stato per dieci anni punto di riferimento di tutti e di conseguenza dell’intera fase di possesso del Napoli. Fabian e Zielinski sono entrambi troppo giovani, seppur talentuosi, per dare quella tranquillità e quella qualità che lo slovacco riusciva a garantire. Allan, poi, ha caratteristiche totalmente diverse dall’ex numero 17 per poter essere considerato un vero vice. L’inserimento e la sventagliata improvvisa per i tagli degli attaccanti sono improvvisamente spariti per dare spazio a delle manovre lente, prevedibili e inefficaci. Certo, sarebbe dovuto migliorare in fase di non possesso. Fatto sta che, dal punto di vista prettamente estetico, a Napoli, dalla costruzione sarrista si è passati al contropiede.
Difficile parlare di colpe: c’erano cascati tutti, tifosi e addetti ai lavori, credendo che questa cessione in fondo fosse realmente la cosa giusta da fare, per omaggiare al meglio una persona che ha onorato sempre non una maglia, ma una città intera. L’eliminazione in Europa League ha chiaramente mostrato tutte le conseguenze derivate da un simile scelta. Il rammarico sta probabilmente nel fatto di essersi fatti trovare impreparati per l’ennesima volta rispetto ad una simile circostanza. Così come in passato era accaduto con i due infortunii di Milik, anche questa volta il Napoli non ha saputo prevenire e a differenza delle altre, dove a supplire ad una simile assenza furono le grandi annate di Mertens, Insigne e Callejon, questa volta non si è neppure saputo curare. Senza dubbio è difficile prevedere le vicissitudini figlie della sfortuna che ormai da un paio di stagioni perseguita questa squadra. Così come non era prevedibile l’infortunio del polacco, ugualmente non poteva esserlo quello di Diawara, anche se viene difficile pensare che il guineiano, per via del suo scarso impiego e per caratteristiche tecniche, sarebbe stato il rimpiazzo adeguato ad una simile assenza. Non che Marek non dovesse essere accontentato, ma la sensazione è che una tale operazione probabilmente si sarebbe dovuta fare a mercato aperto e non concluso, così da avere non solo la possibilità di sostituire al meglio il giocatore, ma, quantomeno, nella peggiore delle ipotesi, di acquistare almeno un altro centrocampista, che numericamente avrebbe allargato la rosa.
D’altra parte è anche difficile criticare una società che è tra quelle maggiormente cresciute in Europa negli ultimi anni, che solo 15 anni fa era in serie C e che nella sua storia non ha di fatto mai ottenuto simili risultati, eccetto rari casi piuttosto risalenti. Tuttavia, si potrebbe ricordare un detto che all’ombra del Vesuvio è molto famoso e che spesso i genitori recitano ai propri figli: “Guarda a chi sta meglio e te”. Allora, più che guardare costantemente al passato, a dove si era e cosa si faceva, bisognerebbe andare oltre, osservando e imitando i club vincenti, non tanto con gli investimenti, perché ognuno ha per ovvie ragioni budget e fatturati differenti, quanto più in termini di mentalità, prospettive e comunicazione. Una squadra che ormai da anni è stabilmente in Europa non può andare a giocare una semifinale di Europa League fuori casa impaurita. La prestazione dell’Arsenal al San Paolo è solo un esempio di modelli a cui il Napoli deve ambire. Si parla tanto di anno di transizione: niente di più sbagliato. Questo deve essere stato un anno di apprendistato; un anno che non può essere gettato nel dimenticatoio; un anno in cui società, giocatori e anche i tifosi abbiano imparato la differenza tra un grande club e un club vincente, così da non restare ancora fermi per i prossimi anni, o, per dirla alla Mourinho, a “zero tituli”.
Fonte immagine in evidenza: espn.com
Giovanni Ruoppo