I dibattiti delle ultime settimane sulla sostenibilità, da parte dell’UE, dello straordinario flusso di rifugiati che anche in questi momenti stanno bussando, con insistenza, alle porte dell’Europa si è concentrato sulla legislazione applicabile – il Regolamento Dublino III – e sui suoi possibili correttivi o sospensioni.
Esiste però un altro aspetto della questione, che merita tutta la nostra attenzione, ed è quello relativo all’Europa che verrà, quella le cui basi si stanno ponendo proprio oggi, con queste nuove ondate migratorie.
A quanto pare, nella prossima Europa diversità, multiculturalismo, eterogeneità, non costituiranno più parole di cui avere quel comprensibile timore che si prova nei confronti di ciò che non si conosce, ma saranno esse stesse parte della realtà che vivremo.
Da questa paura trae origine l’istinto primordiale dei governi di quei Paesi che cercano di preservare il loro territorio da questi nuovi invasori, costruendo muri, inasprendo leggi e, quel che è più grave, considerando gli esseri umani che scappano dalle violenze come un pesante fardello di cui liberarsi, quasi non fossero umani anche loro, quasi non avessero gli stessi diritti – che si chiamano umani, per l’appunto – che vengono tutelati anche dalle convenzioni internazionali.
È oggi che si fa la storia, ed è in questo momento che, fisiologicamente, impera il caos, nell’ambito del quale, come abbiamo imparato dalla gente di Vienna e Monaco di Baviera – organizzatesi con mezzi propri per trasportare i rifugiati dall’Ungheria sino ad Austria e Germania – le persone comuni mostrano spesso maggiore buon senso di chi li governa.
Ma non bisogna fare una colpa a chi non riesce a reagire a questa emergenza con senso di solidarietà e umana pietas. Può capitare, dopotutto non è facile far fronte, anche culturalmente, dall’oggi al domani, a milioni di nuovi richiedenti asilo che irrompono nel proprio Paese con il loro carico di disperazione e miseria.
L’importante, però, è capire che dopo che sarà passato questo momento di irrazionalità, sarà opportuno aprirsi a un futuro ineluttabile: se non lo si vuole accogliere con altruismo, facciamolo almeno con atteggiamento pragmatico.
Perché le persone che oggi scappano dalle loro terre martoriate dalla guerra civile, dalla carestia e dalla violenza rappresentano una ricchezza che proviene da un mondo che abbiamo tentato di globalizzare ma che, nella realtà dei fatti, cambia in fretta e a velocità diverse, in maniera talmente rapida alla quale a volte, come in questo caso, né la politica né la legge riescono a stare al passo.
Ma se domani queste stesse persone riusciranno ad integrarsi in un’Europa nuova che avrà voglia di accoglierle, potranno dare il loro prezioso contributo alla politica, all’economia e alla società. A quel punto, il cerchio si chiuderà, per lasciare spazio ad una nuova Europa più ricca, non solo dal punto di vista umano.
Carlo Rombolà