I Foo Fighters negli ultimi tempi stanno facendo molto parlare di sé. Liberopensiero vi ha già detto della loro ultima fatica, che i media candidano ad album più importante dell’anno, che HBO aveva raccontato con una serie televisiva ad hoc e che rappresenterà il punto di partenza per i concerti – su cui si inseguono i rumours – che faranno del 2015 uno degli anni forse più intensi della band. La recente intervista per il Red Bullettin a Dave Grohl, il frontman e l’anima della band, fa pensare che forse su questo gruppo si può ancora dire qualcosa, anche se un po’ fuori dal coro.
Da rock band della vecchia scuola, i Foo Fighters arrancano in un mondo digitalizzato?
Triste ma vero. La gente ha dimenticato che vuol dire davvero godersi il rock perché passano tutto il giorno davanti a un computer, che salutano come fosse un nuovo dio. […] La felicità o la fortuna o i buoni sentimenti – in qualunque modo li si voglia chiamare – sono basati su un’interazione tra esseri umani, sul rendere le altre persone felici, dando loro qualcosa che è caro al loro cuore. La musica è un mezzo perfetto per questo. Cosa potrebbe essere più umano che scrivere una canzone con basso, batteria e chitarre?
Certe affermazioni, un po’ patriarcali e reazionarie, in primo luogo non tengono conto di verità storiche sul rock che spieghino la natura dell’enorme successo di questo genere. Fa specie che sia proprio Dave Grohl a parlare di interazione tra gli uomini, alla ricerca di una presunta naturalità. Era il 1994 quando l’ex-batterista dei Nirvana, allo sbaraglio dopo che il gruppo si era sciolto per la scomparsa di Kurt Cobain, decise di lanciarsi nell’impresa che molti suoi fan tengono per memorabile: registrare quasi da solo tutte le tracce – strumentali e vocali – dell’album di debutto della band che il polistrumentista avrebbe fondato quello stesso anno e che ancora oggi calca da protagonista i palcoscenici musicali internazionali.
Nel successo del gruppo la tecnologia disponibile vent’anni fa rappresentò allora un ingrediente essenziale. Quella dei Foo Fighters è per giunta una storia che si ripete da sempre nella storia del rock. Si sa che Strawberry Fields Forever, nella versione che l’ha portata al successo nel 1967, è il risultato del sapiente taglia e cuci di diverse registrazioni poco promettenti che George Martin riuscì a mettere su in studio; così come i grandi cori Queen sarebbero ben più scarni e tanto meno virtuosi senza la possibilità di sovrapporre tracce all’unisono e non, annodate peraltro in un tessuto armonico piuttosto difficile.
Simili procedimenti a posteriori, sul dato musicale che si scriverebbe – a detta di Dave Grohl – con un basso, una batteria e delle chitarre, portati ad arte(fatto) dagli artisti rock, avevano al tempo scalzato le offerte di altri generi – tra cui quello cólto e quello del jazz in alcune sue forme. Senza dimenticare che fu proprio la straordinaria discogenìa del rock, il suo adattarsi perfettamente al supporto tecnologico che cominciava ad entrare nel mercato proprio in quegli anni, a farne dominatore – quasi – indisturbato di oltre trent’anni di musica. Immaginare il rock come un’esperienza di sensazione musicale diretta, eliminandone l’aspetto del filtraggio tecnologico, fondamentale anche dal punto di vista creativo, significa avere una visione ideologica e parziale della sua storia.
Ora il web e la digitalizzazione dei contenuti musicali, sia sotto il profilo tecnico che quello sociale, segnano un nuovo passaggio di consegna tra la generazione di Dave Grohl e quella dei nativi digitali, che sempre più di rado, o in sedi che rappresentano tutt’altro che un luogo abituale di fruizione musicale, attendono alla sociologia della folla e dei riti tipici del rock. Barricarsi dietro certe posizioni ideologiche alla si stava meglio quando si stava peggio mette ancora più in risalto lo stridulo anacronismo di certi modi di concepire la musica popular e la sua fruizione e crea tutte le aspettative per la formazione di un nuovo orizzonte musicale, sempre più consapevole delle potenzialità che vengono dalle nuove tecnologie.
Antonio Somma